mercoledì 2 settembre 2020

RADIOCIXD 26: UN SABATO ITALIANO

La maglietta è una citazione artistica, che Caputo ha fatto
un anno PRIMA del gruppo che l'ha usata come nome...
A chi era cresciuto con la musica e la cultura degli anni settanta, gli anni ottanta si presentarono come quelli del "riflusso", del "disimpegno", della rivincita della forma sulla sostanza, eccetera. A distanza, non credo che quel decennio (che poi sta cosa di considerare i decenni o i secoli o perfino gli anni con lo zero periodi significativi! ...tutta roba dovuta al nostro avere due mani da cinque dita ciascuna...) abbia avuto nel complesso una percentuale di cose da salvare, in qualunque campo musica compresa, molto diversa da qualunque altro: di mondezza dimenticabile e dimenticata erano fatti al 90 e passa per centro anche gli anni 70, i 90, i 60, eccetera, e lo sono anche questi anni qui, il problema è semmai essere capaci di distinguere nel presente "cosa resterà" nel futuro di quello che ci circonda.
Sergio Caputo mentre faceva gavetta cercava di camparsi come pubblicitario, e già questo lo bolla immediatamente come figlio della sua epoca: qualche anno prima non si usava. Anzi, per quelli cresciuti qualche anno prima questo era già un marchio, e  "di destra". Poi aveva trovato la sua cifra stilistica in un genere che sembrava revival degli "spensierati" anni di prima delle rivolte studentesche, e la grafica lo sottolineava, come vedete. Per accorgersi che non era così, che il ragazzo aveva studiato e non solo musica, e che il suo lavoro avrebbe scavalcato le mode, bisognavano pazienza e approfondimento. Tant'è, non so se fu ancora una volta grazie alla sapiente guida di Mister Fantasy (di cui vi ho già parlato e vi riparlerò), ma io comprai il vinile, che avrei ancora se non me lo avesse fregato.... mio padre. Si perché - forse ve l'ho già raccontato, ma chissene - la mia passione per la musica, come spesso capita, me l'ha instillata papà, fin da piccolissimo, coi suoi 78 giri degli anni 50 e 60 che ancora tengo come reliquie accanto al giradischi Lesa del '53 perfettamente funzionante. E poi mi introdusse alle trasmissioni radiofoniche nella radio libera che aveva fondato, anche se nel frattempo avevo sviluppato i miei gusti che di certo non coincidevano coi suoi. Eppure, a un certo punto è capitato che io potessi in qualche modo ricambiarlo, passandogli qualcosa: dopo avergli fatto ascoltare Paolo Conte, si comprò tutta la discografia, e per questo ho voluto che la sua lapide riportasse un verso di "Dal loggione": "viva la musica che ti va fin dentro all'anima". E ancora prima, quando andò via per la sua seconda vita, nel lasciare il rack stereo del 78 (un impianto magnifico, che ho solo il rammarico di non fare più suonare spesso), si portò il 33 giri di cui vi parlo oggi.
Un sabato italiano
è un album talmente di culto che lo stesso cantautore, per rientrare nel giro della musica italiana, ha "dovuto" reinciderlo integralmente 30 anni dopo. Non il solito remaster, no, proprio una nuova versione, con dentro gli anni di esperienze, o dovremmo dire di nuova gavetta, che il Nostro si è imposto nella profonda America dei locali di jazz live, piuttosto che vivacchiare dei rimasugli della fama come fanno di solito gli altri nella sua situazione. Il successo di questo disco, infatti, fu tale da non essere eguagliabile dai successivi, che per alcuni anni peraltro mantennero il livello qualitativo. A Roma lo riportò, poco più di dieci anni fa, il gestore calabrese di un noto locale di Prati, convinto che avrebbe riempito la sala anche a così tanti anni di distanza da quando se ne erano perse le tracce. E lo ha fatto: ne sono testimone oculare. Da allora Sergio si aggira tra noi, di tanto in tanto, senza mai tornare nel mainstream ma anche senza più sparire dall'orizzonte, offrendoci una versione dialettica della cifra stilistica con cui era esploso nell'83, sintesi tra quella tesi e l'antitesi della carriera americana.
Ma di quale stile stiamo parlando? Chi lo conosce, può saltare questo paragrafo. Chi no, sappia che ascoltando questo disco all'inizio gli sembra di essere entrato in un night degli anni 50, ma poi piano piano si accorge che la musica swing/jazz è troppo sofisticata per essere davvero di quell'epoca, anche perché i testi non sono poi così scanzonati come sembrano, e sono inoltre composti con un lessico ricchissimo e colto, davvero inconsueto, vero marchio di fabbrica che avvicina Caputo più proprio a Paolo Conte che ad altri artisti. Ed infatti la solita track list commentata stavolta più che altro riporta citazioni testuali...
1. Bimba se sapessi
Citrosodina, si doveva chiamare sto pezzo, e i fortunati che hanno comprato il vinile prima della precipitosa reincisione, imposta per le vie legali da una causa farmaceutica miope nel rinunciare a una enorme pubblicità gratuita, hanno a casa un tesoro. Tra le invenzioni letterarie, perché di questo si tratta, segnalo un pediluvio nel tuo cuore, la collezione di medicinali, e le sfumature nel colore delle scottature.
2. Io e Rino
Rino è l'amico e coproduttore del disco, con cui davvero Sergio passava le notti nei locali romani "in evidente stato confusionale", muovendosi "voluminosi in uno spazio bidimensionale".
3 Mettimi giù
Qui i giochi di parole sono troppi, dovrei citare tutto il testo. Sergio dice che il titolo e tormentone del brano glielo ha suggerito la visione di King Kong, come pensiero della bella amata dalla bestia. Ma Sergio dice tante cose....
4 E le bionde sono tinte
Ho mangiato la foglia e non l'ho ancora digerita. Effetti stroboscopici del destino, difetti di pronuncia della realtà. Sono pronto alla fuga ma nessuno mi insegue. Che volete di più?
5 Cimici e bromuro
C'era ancora la naja, si faccia avanti chi mi trova una canzone che la racconta meglio. Dal confessare davanti al mare di aver paura di nuotare, allo uscirne fuori con in tasca le prove della propria santità...
6 Un sabato italiano
Questa la conoscete tutti, evidentemente pure Sorrentino, quindi non vi dico niente. Il video vi ho messo quello originale di Mister Fantasy, ma potreste trovarne anche di altri sette brani dell'album. Era nel repertorio dei Ristrittizzi (la mia band romana di quasi trent'anni fa), tra quelle responsabili dei miei noduli alle corde vocali: sembra facile, ma senza tecnica non si può cantare.
7 Mercy bocù
Uno stock di giapponesi mi travolge, me e la mia verve, e sparisce tra le fauci di un hotel. Un'orchestra di gatti sta provando l'ouverture. Tu sfoggi un tailleurino giallo senape (giuro, il colore si portava, io ci avevo una giacca), io mi auguro di non vedertiiii più...
8 Week end
Mentre lei è fuori per il weekend, io mangio un sandwich del '43, un tassista rock crede che De Niro sia Gesù: miss Malinconia gioca le sue carte anche così...
9. Night
Ed eccoci davvero, nel night degli anni 50 di cui vi dicevo, ma qui: è un'oasi di lamè, si diventa didascalici ma tu non lo sai, la cassiera ossigenata non ha niente da invidiare a Fernandel, e ognuno ha un segreto nel cuore da non rivelare mai.
10. Spicchio di Luna
Questa pure la cantavo coi Ristrittizzi, ci aprivamo le serate perché il ritornello dice "ne approfitto per fare un po' di musica", e mi piaceva tanto che forse ancora saprei accompagnarmi alla tastiera. O forse no. Ma penso ancora che sia così bella da valere una carriera, anche avesse scritto solo questa. Quando l'avete ascoltata, tra piccoli sogni in abito blu, discoteche inquietanti e amici naif, tra le stelle e i lampioni, fatevi un favore: rimettetela daccapo. E poi ancora...
...

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