domenica 15 novembre 2020

BRIGANTE IO? BRIGANTI VOI!

A un certo punto fu così famoso da diventare poi il Brigante per antonomasia. Anche se coi briganti/partigiani del Sud conquistato con l'inganno e depredato del suo futuro, di cui lo stesso Pasbas ci ha raccontato in numerosi post, non c'e molto altro in comune che l'origine geografica, di certo non l'epoca che qui siamo qualche decennio dopo, né la causa che qui più che altro è una causalità. Ma una causalità così "romantica" nel senso etimologico del termine che originò cronaca morbosa ante litteram (pensate se c'erano i social!), nonché giudiziaria, poi letteratura e cinematografia. Tanto che come dicevo all'inizio oggi anche chi non ha idea di chi fosse può sentire se stesso ripetere l'espressione "il brigante Musolino", pescata da chissà dove. E allora, visto che forse vi siete stufati anche voi delle mie tirate sul Covid (io abbastanza, ne faccio una ogni tre che la cronaca mi suggerirebbe, ma vedrò di scendere), ringrazio Pasbas per il contributo, e omaggio lui assieme a tutti voi con una chicca finale musicale: il concept album apposito di Otello Profazio. Buona lettura e buon ascolto.


Brigante io? Briganti voi a condannarmi ingiustamente! L’ultimo dei veri briganti

di Pasbas 

No figghioli u briganti u fazzu ieu!” Non c’era verso di strappargli il ruolo dell’inafferrabile brigante in fuga continua, braccato dai carabinieri, impersonati sempre dai suoi piccoli compagni di giochi. Questo bel ragazzino, sveglio e intraprendente, era sempre in evidenza nei giochi che si facevano nel piccolo paese di montagna, e che montagna: il famoso e temibile (per chi non lo conosceva) Aspromonte. Il ragazzino divenne un bel giovane, molto ammirato e ricercato, in un primo tempo dalle ragazze del luogo ma in un secondo momento ricercato tout-court. Per un giovane bello e intraprendente come era lui, era un gioco da ragazzi fare innamorare le belle calabresi che, a loro volta, lo fecero innamorare: Rosalia il primo amore, Cata la montanara dell’Aspromonte. Da qui in poi si trattò di capriccetti o di donne di malavita. E si, perché la sua vita incontrò uno spartiacque, un bivio nel quale dovette fare una scelta dalla quale non potè mai più recedere: la scelta del brigante inafferrabile. I suoi giochi con i ragazzini del paese rappresentavano, a sua insaputa, una oscura ombra proiettata sul suo futuro. 

I fatti

Questa bettola è uno dei centri di aggregazione delle settemila anime che vivono qui, alle falde dell’Aspromonte. “No questo lo bevo io perché sono il sottopadrone. La passatella ha queste regole e con queste regole si gioca. Se dico bevo io, vuol dire bevo io, se dico beve Filastò, è lui che beve. Zoccali, le regole sono regole.” E’ il giovane Peppe che parla in tono imperioso. E così quella sera Zoccali non beve neanche un bicchiere.“Ah si? e allora non rimetterò più piede in questa bettola” disse lo Zoccali. E Peppe di rimando (si Peppe, è così che si chiama il nostro eroe) “fai pure il tuo comodo, la tua mancanza non ci farà di certo fallire”. E Zoccali di rimando “dici così perché sei una bestia!”. Gli animi cominciano a scaldarsi, le frasi si fanno sempre più pesanti, Peppe ad alta voce “la bestia sei tu che non sai accettare uno scherzo come si deve”. Com'è come non è l’alterco si trasforma in sfida aperta, i due contendenti escono dal locale per battersi ma gli amici dell’uno e dell’altro li separano per tempo. Rimangono solo tra i due parole cariche di odio: “Peppe per il tuo meglio non ti accostare più a me!”; “oh non ne morrò di voglia, Zoccali!”. Tutto sembra concludersi così, senza vincitore né vinto ma... ...ma adesso entra pesantemente in gioco, per la prima volta, il disgraziato destino di Peppe. Tornando dal lavoro incontra alla fontana delle belle ragazze e tra queste la bellissima Marietta, giovine della famiglia Zoccali. Lui saluta le altre e poi: “E tu Marietta non mi dici niente?” a cui Marietta risponde: “No perché ho bisogno di star zitta”. Peppe: “Allora ti dirò io una bella paroletta all'orecchio”. Marietta: “Vattene sfacciato, ti saresti azzardato a baciarmi”. Peppe: “no, per me sei la Vergine Maria in persona!”. Detto questo le ragazze presenti prendono Marietta sotto braccio per toglierla d’impaccio e si avviano verso le rispettive case. La mattina dopo Marietta (che impersona in questo frangente il triste destino di Peppe) racconta a casa Zoccali: “ieri alla fontana il giovane Peppe ha cercato di attaccare discorso e di avvicinarsi per baciarmi”. La reazione dei tre maschi è a veemente: “sempre questo Peppe” e di rimando Rocco “è ora di finirla”, l’altro dei fratelli “si adesso oltre me molesta anche mia sorella!” , infine Rocco “cosa fatta capo ha, stasera andremo a trovarlo.” Il destino però ha i suoi tempi che non sono quelli degli uomini: “siedi con noi Peppe, bevi un bicchiere” dice Rocco; “non bevo perché ho bevuto troppo”. “Che vieni a fare qui, in questo locale?” dice uno dei fratelli e Peppe “aspetto un amico”. Fortunatamente arriva l’amico Filastò che, intuito cosa sta per succedere, trascina fuori il focoso Peppe e con lui si avvia per la strada del paese. Senonché udito un rumore i due si girano e si ritrovano i tre Zoccali che si avvicinano minacciosamente; “che volete?” dice Peppe e Rocco risponde “ci hai fatto una grande offesa rifiutando di bere con noi e questa è un’ingiuria atroce!”. Peppe sempre più alterato “ah questa è un’ingiuria atroce e allora prendete questa” e si tuffa in mezzo ai tre menando pugni in tutte le direzioni. Sebbene solo si difende come un leone finché uno dei tre aggressori lo colpisce tre volte con un punteruolo. Vista la mala parata Nino estrae la rivoltella, esplode in aria alcuni colpi e manda in fuga gli Zoccali. Medicato a casa l’amico, Nino lo esorta a denunziare tutto ai carabinieri. E qui il destino bussa nuovamente alla porta di Peppe: “No la spia io la lascio fare a chi è del mestiere”. Questo rifiuto gli costerà molto molto caro. Nella precedente colluttazione è caduto il cappello dalla testa di Peppe e alla fine della lite il cappello è introvabile: ecco un altro colpo che il destino assesta al nostro ignaro eroe. Il mattino dopo lo Zoccali si alza all'alba e esce dalla porta di casa quando improvvisamente esplodono dei colpi di schioppo, uno dei quali si stampa sul legno della porta. “Maledetti volevano farmi la pelle, sono quei due infami di Nino e Peppe! Avete sentito tutti gli spari e guardate qui, il cappello di Peppe prova che erano loro.....chiamate le guardie....che arrestino quei due malandrini!” grida Vincenzo. Sentito il trambusto e le frasi di Vincenzo, l’amico Clito corre da Peppe per avvisarlo. “Peppe hanno tirato tre fucilate a Vincenzo Zoccalo e accusa te e Nino di aver attentato alla sua vita”. “Cosa? E le prove?”, “ha nelle mani il tuo cappello, mettiti in salvo, per carità!”. Sentito questo il (quasi) brigante raccomanda la sua famiglia all'amico, esce di corsa da casa e sparisce nei boschi aspromontani. Le guardie chiamate sul luogo dell’attentato decidono di arrestare Nino e Peppe; detto fatto si recano nell'abitazione di Nino e lo ammanettano, quindi bussano alla porta di Peppe e chiedono alla sorella Ippolita dove sia. La risposta è: “è uscito presto per andare al lavoro, non so dove si trovi ora e a che ora tornerà”. Perquisiscono allora la casa e, visto che non c’è traccia del fuggitivo, vanno via. Da questo momento Peppe è per la legge ufficialmente un latitante. Il suo destino ha finalmente scelto il suo futuro, brigante! Passato qualche giorno con cautela Peppe si reca a casa di un parente nei dintorni del paese, per avere notizie della famiglia e rifornirsi di viveri, visto che la latitanza si prospetta lunga e faticosa. Visto che lo ha visto la madre di una delle sue amanti, essa decide di andare a Gerace a denunciarlo al delegato; in breve tempo così Peppino il bello è preso e arrestato. Ma lui non è tipo da arrendersi facilmente e, sebbene legato come un salame, dice: “mi avete legato come una bestia, ma non finisce qui!”. La strada del brigante è oramai tracciata. Alle otto di sera Peppino viene tradotto nel carcere giudiziario, lo stesso in cui è detenuto l’amico Nino. E dopo?

Il presidente della giuria della Corte di Assise di Reggio annunzia il verdetto: “gli imputati qui presenti sono condannati a scontare 21 anni di carcere per tentato omicidio nella persona di Vincenzo Zoccali”. Peppe Musolino (è lui il nostro romantico bandito) in un eccesso di collera, rivolgendosi allo Zoccoli grida: “hai capito che i signori giurati mi hanno condannato a 21 anni di carcere e che, come sai, io e Nino (Filastò) siamo totalmente estranei al fatto. Bene, adesso ho 21 anni e fra ventuno ne avrò 42, sappi che appena uscito verrò a cercarti e ti strapperò il cuore dal petto, dopodiché lo mangerò davanti ai tuoi cari. Ma se non ti troverò sfogherò la mia rabbia sui tuoi figli e sulla tua infame famiglia”. Zoccali di rimando: “intanto sorbiti questi 21 anni di sofferenze!”. Poi un urlo, dramma nel dramma, la sorella di Nino, Carmela incinta di 6 mesi, udita la sentenza stramazza al suolo e muore. Ignari di tutto i due condannati vengono caricati sul cellulare (non si tratta certo di un nuovissimo smartphone ma piuttosto di uno squallido e sporco carrozzone trainato da due ronzini) e tradotti al carcere per scontare da innocenti l’ingiusta pena. Il carcere si rivela durissimo, la cella di isolamento è angusta, buia e sporca. I reclusi hanno poca acqua e pochissimo cibo; l’uomo abituato ai grandi spazi delle montagne si trova costretto in un ambiente ostile e nauseabondo e quasi impazzisce: urla, strepita, non dorme, attira continuamente le guardie tanto che viene stretto in una camicia di forza. E’ a questo punto che Nino chiede udienza al direttore per farsi assegnare una cella migliore e con altri detenuti. Capita la situazione, il direttore decide di assegnare loro la cella di normale detenzione, già occupata da tre detenuti. La vita torna a essere più normale e i cinque divengono ottimi compagni. Passano i giorni ma Peppe Musolino non si arrende a questo triste destino, si gira e si rigira nel sonno, Poi in una notte di sonno finalmente sereno il nostro brigante fa un sogno premonitore, un bel vecchio gli indica il punto nel quale il muro della cella è indebolito e lo esorta a sbrigarsi per organizzare l’evasione perché presto li avrebbero trasferiti in un altro istituto di pena. Un altro segno del destino: una notte un canto strano, le parole quasi in codice e il dolce accompagnamento di una zampogna. Peppe chiama a sé gli altri detenuti e spiega che quello è un canto di criminali, una fibbia, che dice che saranno protetti dopo l’evasione. Trovato un grosso chiodo infisso nel muro, già da quella notte i cinque cominciano a scavare nel punto indicato nell’imbasciata della mala. Tutto procede ed una notte, allargato il foro tanto da far passare un uomo, si imbattono sfortunatamente in un grosso masso. Per diverse notti si alternano nel tentativo di rimuoverlo ma ahimè la dimensione ed il peso sono eccessivi e ogni tentativo si rivela vano. La rabbia di Peppino cresce e lo fa pian piano diventare un leone: fa spostare tutti i compagni di sventura dal buco e riesce, con uno sforzo sovrumano, a smuovere il masso. Si copre tutto e si attende la notte successiva. Tutto pronto, lenzuola annodate, vestiti e altro. Peppino si mette di guardia alla porta della cella, Nino fissa il lenzuolo alle sbarre e a quel punto tutto è pronto. Al solito Musolino si fa avanti, passa attraverso il buco e si cala lungo il muro di cinta. Arrivato a terra fa segno a Nino di scendere e, praticato un foro nella rete di recinzione, i due escono dal perimetro del carcere e si preparano alla fuga. Arrivano due dei compagni di cella ed inizia la loro avventura da uomini liberi (uno dei tre, tal Passaruga, decide di rimanere in cella). Dopo un certo tempo il Brigante Musolino si reca non visto alla casa paterna; prende un fucile, fa scorta di munizioni, di cibo e denaro e fugge sui monti dell’Aspromonte. Iniziano adesso le scorrerie dal monte Scapparone ai piani di Dorgada e usa Peppino la grotta di s.Leo come rifugio. Inizia così la serie impressionante di delitti per i quali sarà condannato all’ergastolo dalla corte di Assise di Lucca. 

I delitti di Musolino

Beh che dire, in quanto a Curriculum Vitae Peppe Musolino non era secondo ai vari Crocco, Ninco Nanco, Michelina De Cesare ed altri briganti postunitari. La vicenda processuale si conclude con la sua arringa finale, in quanto i suoi avvocati lo abbandonano. Ecco quello che dichiara prima della sentenza di condanna:

Il fato infausto, come nei romanzi scritti dai grandi autori del Romanticismo o nel famoso “Cronaca di una morte annunciata” di Gabriel Garcia Marquez, ebbe piena responsabilità nella cattura del maledetto eroe popolare: avendo deciso di emigrare nelle Americhe, datosi le forze di polizia che lo inseguivano con un battello e la taglia consistente decisa dal Governo per catturarlo (con l’arrivo dei piemontesi, servi degli statunitensi e loro imitatori, furono creati dopo l’unità i Bounty Killer), prima di essere catturato si incammina a piedi dall'Aspromonte ad Urbino. In quel di Acqualagna, viene notato casualmente da due carabinieri che si insospettiscono nel vedere un giovanotto così ben vestito in piena campagna, gli gridano l'Alt! Ma Peppino scappa andando ad inciampare in un fil di ferro di un filare di viti e i due carabinieri, pur con molti sforzi, riescono a immobilizzarlo e riconoscendolo lo conducono in caserma. E’ la fine della latitanza e della libertà del famoso Peppe Musolino, il Re dell’Aspromonte.

La sua fine fu indegna e triste per un uomo intraprendente e amante della libertà come lui: dichiarato insano di mente fu trasferito nel manicomio di Modena a Reggio Calabria, dove finì i suoi giorni.

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