mercoledì 25 novembre 2020

SAN DIEGO

Non sono tifoso di calcio. Lo ero da bambino, come tutti i maschi italiani, e come spesso capita tifavo la squadra per cui tifava mio padre. I meridionali, si sa, tifano per la squadra della propria città soltanto assieme a una squadra del Nord, perché la prima se va di lusso e gioca in serie A punta alla salvezza, se va ancora bene gioca in B, ma normalmente gioca nelle serie minori, e tu intanto devi tenere per una delle squadre che lottano per lo scudetto. Per cui circa metà dei terroni sono juventini, e gli altri metà interisti e metà milanisti. Un calcolo spannometrico, ma abbastanza attendibile. Ma solo se dai terroni togli i napoletani e limitrofi: loro a un certo punto hanno avuto lui.

Papà teneva per il Milan, forse perché gli capitò di lavorare per qualche tempo a Milano proprio negli anni in cui splendeva la stella di Gianni Rivera. Ma forse no, all'Inter c'era Mazzola e tra i due era solo questione di gusti, il livello era quello: avercene, oggi. I fantasisti, qualcuno li chiamava, i registi offensivi, i numeri 10. Quelli che con Sacchi e i suoi epigoni si sarebbero pian piano estinti, intrappolati in reticoli di venti uomini rinchiusi in venti metri. Con qualche eccezione: Baggio, Totti, qualcuno dice anche Del Piero. Messi e Cristiano Ronaldo ancora dovevano nascere, e anche ammesso che vogliamo considerarli a livello dei succitati, o di un Crujff per aggiungere un altro parametro, sono perle rare in un calcio che, sarò anziano pensatela come vi pare, è da decenni talmente brutto da non farsi rimpiangere, da chi ha deciso di seguire altri sport già una quarantina di anni fa. E poi c'era lui.

Uno che oggi ve lo avranno raccontato in mille modi in mille servizi televisivi. Non vi serve il mio coccodrillo. Forse vi sarebbe piaciuto quello di un mio amico suo tifoso che quando scrive di cose intime è molto più bravo di me, e gliel'ho pure chiesto ma nemmeno mi ha risposto. Mi piace pensare che sia per via della troppa tristezza. Quindi non vi dirò niente di Diego Armando Maradona, non sono titolato. Solo che di talenti come il suo ne nascono uno al secolo, e il Novecento ci ha dato anche Pelè è stato fin troppo generoso. Solo che purtroppo oltre che di un talento unico è stato testimonial di come non basta quello, nemmeno se ti arricchisce, se non hai la testa adatta a gestire le tue fortune (non parlo di intelligenza, come potrei, o di assennatezza, che non si può pretendere conviva col genio, parlo di quel minimo di opportunismo e di furbizia che l'avrebbero tenuto lontano dagli errori peggiori, mannaggiallui). E solo che non fosse stato così unico, e così tutto sommato breve la sua parabola, forse quelli come me sarebbero ancora tifosi di calcio. Uno sport che aveva la sua peculiarità, purtroppo perduta, nel racchiudere momenti di poesia. E chest'è.

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