venerdì 20 novembre 2020

LA FINE DEL CINEMA MUTO

Se volete avere una idea di quanto è stato sottovalutato Claudio Lolli, ascoltate il capolavoro che dà il titolo a questo post e che vi metto in video alla fine. Non che molte altre canzoni siano da meno, no, e addirittura interi album, che infatti ho già recensito e recensirò per la rubrica RadioControinformoXDiletto. Ma questa ci azzecca molto con la fase storica che stiamo vivendo. Si, anche il suo amico Francesco Guccini ha scritto un paio di capolavori sulle "ere di transizione", su tutte Mondo nuovo (che cita Huxley: chi non lo ha letto si precipiti, ci parla della cronaca molto meglio dei telegiornali) e Bisanzio. Ma questa raggiunge vette poetiche estranee al Maestrone (almeno sul sociale che sul privato pure lui sa commuovere). Per esempio già nell'incipit:

"Alla fine del cinema muto / si riempirono le osterie / di vecchi attori poco fonogenici / e dalle tante malinconie, / che guardavano il cielo lunatici / come dovesse cadere giù, / ripensando a quel silenzio magico, / quel silenzio che non c'era più..."

Chi ha disegnato per noi il "mondo nuovo" e sta facendo di tutto per realizzarlo (no, oggi non vi parlo del covid, che è solo l'ultimo e il più efficace dei suoi strumenti), chissà alla fine forse ha pure ragione: non c'è posto sul pianeta per 9 miliardi di persone che consumano non dico come un americano, ma nemmeno come un europeo del sud e forse nemmeno come un nuovo cinese. E non c'è modo di convincere un essere umano a cedere volontariamente se non quote marginali di ciò che lui ritiene sue conquiste irrevocabili, suoi diritti inalienabili. Ma la gente ha il brutto vizio di invecchiare e prima o poi morire, e quelli che nascono in un mondo dove quelle conquiste e quei diritti già non c'erano, rispondono comunque alla pulsione primordiale di tentare in ogni modo di vivere la propria vita essendo più felici che possono, e anche se hanno un padre o comunque un vecchio che gliele racconta, possono al massimo immaginarsele, non percepire nelle carni la loro perdita. E "loro" lo sanno, e ci contano.

Ma questa storia la scriverà qualcun altro, a modo suo, con categorie sue, mettendoci dentro cose che noi nemmeno immaginiamo e togliendo cose che per noi sono essenziali, e anzi forse nemmeno la scriverà. Noi possiamo solo raccontarla dal nostro punto di vista. Quello di chi è cresciuto sognando che nel Duemila avrebbe avuto la sua auto volante, come tutti. Credendo a chi gli diceva che aveva diritto a un lavoro, e che la Repubblica avrebbe rimosso materialmente le ultime disuguaglianze. Aveva diritto all'assistenza sanitaria gratuita se stava male, alle ferie per ristorare la propria capacità lavorativa, alla pensione quando invecchiava ma nemmeno tanto che sennò come ti godi almeno qualche anno, a mettersi in proprio e cercare di arricchirsi nella legalità. Guidando la propria quattro o due ruote con cui poteva andare dove gli pareva, se poteva permetterselo. Cavalcando il proprio purosangue con la colt alla cintura. Coltivando le terre comuni che il Signore doveva lasciare disponibili al popolo per sostentarsi. Spostandosi con la tribù in un'altra terra quando non c'era più niente da cacciare e raccogliere in questa. Essendo capace di recitare tutte le emozioni possibili senza dire una parola. E a un certo punto il mondo cambia e quello che sai fare tu non serve più, o non si usa più, o diventa vietato, o è superato da un progresso o magari da un regresso non importa. Se hai culo te lo lasciano fare finché campi, sennò ti devi pure inventare maschera nei cinema coi film degli attori che parlano, se vuoi mangiare. 

Questo post è dedicato a un amico che riconoscerà le tematiche di una nostra chiacchierata telematica, uno dei pochi che a ciascuno di noi è rimasto "vicino" in questo periodo in cui sono messi alla prova tutti i nostri rapporti interpersonali. Lui dice che io do il meglio quando mi butto sul privato e sul racconto, quindi credo che gli piacerà. E anche, che la conosca già o meno, questa canzone...

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