Se vivesse ancora nonna Carmela oggi compirebbe centotré anni. Non avrebbe voluto e infatti quando ha voluto andarsene lo fatto, semplicemente arrendendosi ad un acciacco qualsiasi, come vuole lo stato di natura e sempre è stato nella storia dell'umanità prima di questa sciagurata epoca in cui si è stravolto persino il senso stesso della vita. Ma oggi la celebro, le mando i miei auguri diretti in quell'angolo di universo dove sarà, che poi è dentro di me e quindi ci sarà finchè vivo cioè - mi spiace per voialtri ma per quanto mi riguarda il mondo finisce con me - per sempre, per due ragioni distintissime, che hanno a che fare con l'inizio e la fine di questa cosa che chiamiamo vita.
L'inizio. Carmela nasce il 17 luglio 1908, il terremoto che rase al suolo Reggio Messina e zone limitrofe causando un totale di quasi 150mila morti la colse bimba di 5 mesi. Avere sott'occhio una neonata adesso mi fa capire come mai sono proprio loro quelli che meglio sopravvivono ad eventi del genere, senza volere citare i tanti casi estremi di cui sono piene la letteratura e la mitologia, da Romolo e Remo con la lupa a Tarzan delle scimmie. Il fatto è che questi esserini apparentemente così fragili sono in realtà dotati di una forza e di una resistenza incredibili, e animati da un'unica persistente ossessione: voglio vivere. Come un Hal 9000 supercompatto, tutto in loro è informato a questa istruzione elementare, e a un paio di subroutine ad essa funzionali: mangiare, dormire, espellere i rifiuti. Se qualcosa intralcia l'esecuzione di questo software, parte il pianto, in varianti per natura del malessere, carattere, situazione, eccetera, ma sempre consistente in un codice elementare condiviso da tutti i mammiferi, di cui fanno parte anche i tratti somatici del cucciolo (occhioni in primis, come sanno bene alla Disney), ecco la lupa e le scimmie o i cani o gli orsi eccetera, e comunque da tutta la specie umana, il che aumenta enormemente le loro probabilità di sopravvivenza in qualunque situazione.
La fine. Carmela è stata fortunata, 95 anni in salute poi dicevo la decisione di mollare. Suo figlio Pepè, mio padre, lo era stato molto meno: quando hai una malattia che non perdona e sopravvivi a un intervento cui nessuno sopravvive, per la scienza medica occidentale smetti di essere una persona e diventi un caso di studio: le provano tutte per farti campare un altro po' anche se sanno che non sarà per molto e sarà per te una sofferenza fisica e una ancora più grande prostrazione mentale, anche se nemmeno loro sanno bene cosa fare, perchè fai "letteratura" e anche così la medicina progredisce. Ma quattro mesi di ricovero prima dell'esito fatale di una cirrosi non sono niente, rispetto alle vere disgrazie che possono capitare: i casi sono così noti che non li enumero nemmeno, anche perchè per ognuno di questi ce ne sono mille altri uguali che restano nell'ombra, povere eluane e piergiorgi e poveri i loro cari. Ebbene, in questi giorni il parlamento sovrano ha licenziato una legge che definire vergognosa è poco: in pratica, nessuno di noi potrà più - se mai ha potuto - avere l'ultima parola su cosa intende per vita e su cosa ammette e cosa no venga fatto al proprio corpo quando la propria anima sarà altrove e non sarà più in grado di esprimere la propria volontà. La mia parte intollerante qui emerge in maniera decisiva: auguro di tutto cuore ad ogni deputato che ha votato a favore di quella legge, ad ogni esponente della gerarchia cattolica che ha contribuito ad ispirarla, e ad ogni elettore che sia d'accordo, almeno diciassette anni di coma irreversibile in cui il corpo piagato sopravvive grazie al sondino imposto dalla legge, ma a differenza della Englaro spero che ciascuno di costoro per tutto il periodo resti in qualche modo cosciente, come in un punto esterno al corpo nella stanza, e tenti invano di urlare a tutti quelli che passano "vi prego lasciatemi morire". Se esiste un inferno, dev'essere una cosa del genere. Per quelli del PD devo pensare a un supplizio aggiuntivo, ma sono troppo buono non mi viene in mente niente di adeguato.
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