lunedì 3 marzo 2014

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Il trompe l’œil di Alan Sonfist che chiude forse il più bel film
di Resnais, Mon oncle d'Amerique. Credo sia a New York...
Del film da Oscar di Paolo Sorrentino, di come sia il meno bello della sua peraltro non lunga filmografia e di come sia però così paraculo da aver reso facile prevederne la premiazione americana, ho già detto a suo tempo. Oggi è tempo di adottare a posteriori il profilo che per sua fortuna Leonardo ha calzato a priori, e gioire per l'affermazione del cinema italiano, anzi della sua anima "colta all'italiana", per quanto estemporanea rischi di restare anche stavolta.
La notizia della vittoria agli Oscar ha però oscurato, almeno nella stampa italiana, un'altra notizia dal mondo del cinema altrimenti di primissimo piano: decisamente al tempo suo, ci ha lasciati il grande regista francese Alain Resnais, non so se il migliore dell'anima "colta alla francese" del cinema ma certo quello che secondo me ha raggiunto i momenti maggiori nel rapporto tra i contenuti e la capacità di renderli fruibili a tutti con poca fatica, sempre secondo me invece il grande problema del cinema francese d'autore in genere. In cima a tutti, il meraviglioso Mon oncle d'Amerique (guardatelo, qui c'è tutto!), che grazie all'intreccio di due piani narrativi apparentemente distantissimi, le vicende di una famiglia e gli esperimenti sui riflessi condizionati dei topi, ci schiaffeggia con la reale origine dei nostri moti d'animo a prescindere di ciò di cui la nostra sovrastruttura mentale li riveste e imbelletta. Per chiudere con quella che io chiamerei "la giusta distanza rappresentata in metafora", una delle più grandi metafore della storia del cinema, ovviamente per immagini, che non ha che da essere vista e rivista.

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