mercoledì 3 gennaio 2018

REGGIO NEMMENO

'U stratuni, che poi si chiama, come troppo spesso
in mezza Italia specie al sud, corso Garibaldi...
Come tutti gli emigranti, torno "a casa" sempre meno: i primi anni ogni scusa è buona per non saltare un mese, poi pian piano si comincia a intravedere un futuro in cui sarà già tanto una volta l'anno. E le virgolette, se non si era capito, sono perché tutti noi "andati via" prima o poi si intende per "casa" un altro posto rispetto a quello in cui siamo nati. C'è una dimensione però in cui mi distinguo dal "valore modale" dei miei "condestinei", allineandomi invece a una quota non insignificante ma minoritaria: io, da Reggio, ho scelto di andare via, a 26 anni e avendovi già un lavoro fisso e sicuro, e quando a 39 ho avuto una seconda possibilità anche migliore, dopo pochi mesi ho riscelto di nuovo di andar via. Se ciò sia tutto frutto di sventatezza (in parte sicuramente, se pensiamo che restando avrei avuto molti meno problemi economici di quelli che ho affrontato in un trentennio) o lungimiranza (se pensiamo che così almeno "ho qualcosa da raccontare a San Pietro", come diceva mio nonno per "ho vissuto"), forse ce lo dice il testo di questa canzone (che come le altre potete chiedermi di usare, musicandola come vi pare, anche se è pensata cantata su un lento arpeggio di chitarra, col ritornello in rilievo), scritta talmente da ragazzo che manco mi ricordo l'anno preciso...
Ora vi salutu, vaju e mi fazzu 'na passjata nt'o stratuni.... Bon capurannu e bon capu ri misi!
REGGIO NEMMENO

E mi dispiace per te, mia povera città,
ma non so quanto resisto a rimanere qua
a contare tutti i topi per strada e dentro le case, sembra non finiscano mai!
È stato tutto già detto, non c’è niente da aggiungere,
su corruzione, mafia e tutto il resto,
ma l’amarezza che mi ha preso adesso
quella si che la voglio urlare, perché,
perché per tutti i cieli del mondo non ce n’è neanche uno più bello del tuo,
ma il grigio non gli dona affatto, e dove quindi cercare non so,
perché a smontare teste e cambiarle si comincia ma non si smette neanche a non dormire mai,
ed io sono già stanco, non ne ho quasi più voglia, perdonami, dai…
E mi dispiace per me, mia povera città,
ma forse dovrò scappare dalla tua realtà:
da bimbo mi han raccontato le favole e ci sono dentro ancora oggi alla mia età.
Sei brutta dentro, come un po’ tutte le altre,
non c’è niente da aggiungere, rimani così,
io per mio conto sto cercando un’accetta per rompere
queste radici forti che mi legano a te,
perché per tutti i cieli del mondo non ce n’è neanche uno più bello del tuo
ma il grigio non gli dona affatto, e dove quindi cercare non so,
perché con le radici potrei anche morire qui fermo a aspettare chi non mi salverà,
però da oggi più non mi sento tuo figlio, perdonami, dai…

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