giovedì 9 ottobre 2008

CRISI FINANZIARIA, AVEVA RAGIONE IL GRILLO PARLANTE

L'informazione generalista sotto il regime berlusconiano, che continua rafforzandosi da almeno 15 anni a prescindere che il suo esponente sia o meno Presidente del Consiglio, è ormai da tempo quasi esclusivamente composta di cronaca politica, cronaca nera e cronaca sportiva. Inoltre, la prima è sempre più mera cassa di risonanza di aria fritta a scopo propandistico, la seconda strumento di controllo sociale tramite la paura, la terza al 99% una cosa che non è da molto tempo più sport - il calcio, non a caso trasformato dallo stesso soggetto a supporto dello stesso progetto di dominio politico e culturale.
Così la cronaca economica, ad esempio, non solo si è via via ridotta di spazio, ma è diventata sempre meno intelleggibile (chi si ricorda i tempi di Everardo Della Noce?); inoltre, un pubblico sempre meno capace di capirla e assorbito da reality e partite, se mai ascolta il tg, quando arriva se ascolta non capisce, ma spesso non ascolta e magari gira canale. Che la cosa sia voluta è facile dietrologia, ma a prescindere da ciò resta il fatto che chi si fosse affidato negli ultimi dieci anni solo all'informazione generalista oggi non può non essere stupito e confuso dalle notizie sul crollo dell'economia finanziaria globale che hanno sfondato il recinto e sono giunte in prima pagina.
Chi invece già da tempo gira sui canali della controinformazione sa da anni che quello che sta succedendo semplicemente non poteva non succedere. Bastava leggere le prediche al vento di Eugenio Benettazzo, ad esempio, o il manifesto per un nuovo modello di sviluppo di Massimo Fini (qui una sua intervista al Giornale).
Sono venti anni almeno che sui vari TG fingono di spiegarci la nuova economia finanziaria al solo scopo di farci sentire tutti ignoranti e poter continuare ad arricchirsi impunemente, e noi ci siamo pure cascati, ma in realtà bastava saper far di conto e avere nozioni di economia domestica per capire che non poteva funzionare, che l'unica cosa che conta è l'economia reale, che quella finanziaria può esserle da traino finchè è di qualche misura più grande, ma quando il rapporto tra i soldi che girano in un sistema e il valore complessivo di beni e servizi prodotti nello stesso si fa sproporzionato prima o poi si paga il conto. E con la globalizzazione e la virtualizzazione del denaro la sproporzione si è fatta via via drammatica, maggiore di quella del "29, e con un mondo maggiormente connesso quindi maggiori rischi di crisi davvero mondiale in caso di crollo.
La storia è semplice, e come al solito ci affidiamo a chi la racconta meglio di noi:
  • il canadese Walkom tradotto da Comedonchisciotte, che ci ricorda che Marx era un economista liberista che aveva intuito le contraddizioni del sistema;
  • Carlo Gambescia che propone addirittura la chiusura magari definitiva delle Borse;
  • Johan Galtung e le sue dieci ricette per salvare il salvabile tradotto dal Manifesto e riportato da Megachip.
Volendo però procedere ad un'estrema sintesi, siamo ad un bivio storico: o si coglie l'occasione per l'abiura definitiva del monetarismo e il ritorno ad un'economia dove il nocciolo duro devono essere le cose che si toccano (un lavoro per ciascuno, retribuito in maniera da consentirgli di avere una casa una famiglia e qualche soldo da far girare) e il resto ad esse subordinato e ruotante attorno, oppure si finirà dritti dritti verso la rovina, tentando inutilmente (come stanno facendo in questi giorni) di risolvere la cosa abbassando i tassi o con qualsiasi altra leva monetarista.

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