martedì 25 agosto 2009

STATOTRUFFA 2009 - ARIDATECE IL CALCIOSCOMMESSE

La prima parte del titolo è parafrasata da un divertentissimo film con Totò e Nino Taranto.
Per la seconda, chi si ricorda quelle immagini in biancoenero di calciatori famosi, in testa il Pablito nazionale, prelevati e portati in gattabuia con l'infamante accusa di aver scommesso clandestinamente sul risultato delle partite? Allora sembrò uno scandalo pazzesco, oggi rivedere quelle immagini farebbe tenerezza. E non solo per quel gigantesco giro di riciclaggio e intrallazzi vari che è diventato il calcio dal Milan di Berlusconi in poi. Anche per una certa nostalgia delle scommesse clandestine, che va spiegata per non passare per apologia di reato.
Chi capisce un minimo di statistica, infatti, facilmente stima che lo Stato, da sempre attraverso il Lotto, e da qualche anno ancora di più attraverso Superenalotto e simili, è un allibratore molto più disonesto di qualsiasi camorrista. La quota che si trattiene, infatti, dove per legge dove per meccanismo del gioco, è furfantesca. Si chiama aggio: è quello che resta al banco alla fine della fiera. Ad esempio, alla roulette se punti su un numero secco e vinci ti danno 36 volte la posta, i numeri sono 37 con lo zero, quindi per la legge dei grandi numeri nel lungo periodo al banco resta un trentasettesimo dei soldi che girano sul tavolo. Una cosa onestissima. Lo Stato invece trattiene per se la stragrande maggioranza, una roba che sarebbe stato da tempo radiato dall'albo non solo dei mitici bookmakers inglesi, quelli che già accettano scommesse sui risultati tennistici delle figlie di Federer, ma anche dei loro parenti poveri napoletani dei tempi in cui il perbenismo italico vietava le scommesse...
Vincere al superenalotto è probabile una volta su oltre 600milioni, molto meno che venire colpiti da un fulmine passeggiando in una giornata di sole. Eppure proprio questa difficoltà, facendo salire i montepremi, decreta il successo del gioco. Come spesso capita, affido il resto del discorso a chi lo rende meglio di me: leggete Carlo Bertani.
E smettete di cascarci.

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