Il mese scorso esordiva da queste pagine web il buon Polifemo, con un pezzo in cui presentava le elezioni all'Associazione Italiana Arbitri (dunque non state leggendo un pezzo dall'Olanda) promettendo un commento all'esito. Eccolo qui di seguito, con in fondo una nuova promessa che a questo punto mi sento di girare ai miei (pochi) lettori: si parlerà di regole del gioco. Solo del calcio? mah....
Nicchi 208, Boggi 119. E’ il responso finale - uscito fuori dallo spoglio dei voti dell’urna elettorale - che ha stabilito altri quattro anni di presidenza Aia per l’ex arbitro internazionale di Arezzo Marcello Nicchi.
Non fatevi ingannare dal discreto scarto di preferenze esistente tra i due candidati: poco più di un mese fa il salernitano Boggi poteva contare su una sessantina di voti. Va registrato, dunque, l’evidente salto di qualità che il suo ticket ha potuto disporre, raddoppiando le preferenze in sede di Assemblea Generale.
Ma analizziamo in modo più approfondito i risultati del voto dello scorso 10 novembre.
Come primo punto, occorre considerare che nell’Associazione Italiana Arbitri esiste uno zoccolo duro di resistenti al potere. Si tratta, in genere, di dirigenti oppure associati di spicco che non hanno saputo rassegnarsi al mutamento organizzativo voluto da Nicchi. Sono molti, qualcuno di loro dotato di un certo seguito “politico” ma in assoluto incapaci di impostare dinamiche di comunicazione a tutto campo.
La riprova è stata proprio nel dibattito assembleare. Dopo i discorsi dei due candidati – sui quali mi soffermerò più avanti – ci sono stati gli interventi degli associati che ne hanno fatto richiesta al tavolo di presidenza dell’Assemblea. Ebbene tutti gli interventi dei sostenitori di Boggi hanno brillato (si fa per dire) per attacchi continui, di stampo dirigista e talvolta veementi e personali, contro Marcello Nicchi. Sono stati usati argomenti di poco spessore, limitati nella fenomenologia dell’Associazione. Già, perché il pubblico dei “grandi elettori” in sala era formato in massima parte da dirigenti e associati provenienti dalla base, cioè dalle Sezioni Aia. Dunque persone abituati alla fatica del quotidiano, che i massimi sistemi Aia non sanno nemmeno cosa siano o come sono fatti. Quindi una comunicazione carente per “mancanza di codice” che non è stata capace di veicolare altri voti – oltre a quelli recuperati da un certo malcontento di fondo – ma che ha certamente alienato la simpatia dei moderati, spaesati di fronte a tanta aggressività. Inoltre, gli interventi dei componenti del ticket-Boggi hanno messo in risalto un evidente pochezza dei contenuti trattati e il basso profilo dirigenziale degli stessi componenti.
Un discorso a parte, invece, meritano i discorsi dei due candidati alla presidenza. Nicchi ha parlato per primo, fintamente a braccio (aveva i fogli del suo discorso ben aperti sul leggìo), palesando passione ma nessun contenuto politico: il suo claim è stato “Il mio programma scorso è stato adempiuto al 98%. Ora il nuovo programma sono io”. La vera genialità del suo intervento è stata nel farlo parlare per primo senza, cioè, ascoltare i contenuti che avrebbe potuto dire il suo avversario. Gli aretini, si sa, sono “botoli e ringhiosi” (copyright Dante…) e la reazione di Nicchi avrebbe potuto, anzi, sarebbe stata certamente fiammeggiante con possibili, se non certe, ripercussioni sul voto dei famigerati “moderati”.
Boggi, dal canto suo, ha scelto una comunicazione alquanto democristiana. Voce con un certo accento campano, lettura diretta sui fogli del proprio discorso, toni piuttosto neutri. Unico sussulto quando sono state mostrate, in diapositive proiettate sul grande wall della sala assembleare, le “bugie” programmatiche del presidente in carica commentate sonoramente dalla colonna sonora del film “La Pantera Rosa” (Henry Mancini). Tutto l’intervento di Boggi è stato una sorta di catastrofe comunicazionale, confuso nei toni e poco significativo nei contenuti. Non è possibile che non si sia capita la lezione base della lotta politica: non si parla male dell’avversario ma si deve parlare bene di sé e del proprio programma.
D’altro canto, per tutta la breve campagna elettorale prima dell’Assemblea Nicchi si era comportato come uno sfidante, non come il “commander in chief”.
Comunque sia, alla fine il risultato dell’urna ha dato ragione a Marcello Nicchi che potrà dirigere l’Associazione Italiana Arbitri ancora per quattro anni. Il lavoro sin qui svolto è stato discreto ma non indimenticabile. All’inizio del suo mandato era partito bene, inaugurando un corso di rinnovamento sia associativo che tecnico nell’Aia. Ma nella scorsa Stagione ha deciso di seguire più da vicino le sorti della Can A, ovvero la struttura tecnica che si occupa della designazione degli ufficiali di gara nella massima Serie. Tale iniziativa lo ha costretto a delegare alcuni suoi compiti istituzional-associativi ai suoi collaboratori diretti che non sono proprio fulmini di guerra costruendo, così, le basi per un candidato antagonista.
Speriamo che il buon senso lo faccia ricredere. Nicchi deve capire che quando parla di lui come “Presidente della Sezione Italia” i suoi associati sparsi sul territorio si aspettano che agisca coerentemente.
In bocca al lupo a lui e a tutti noi che amiamo il calcio come sport e non come spettacolo.
Polifemo....
A breve, grazie al mio generoso ospite, un piccolo vademecum sulle regole del calcio. Perché “non si può apprezzare un gioco senza conoscerne le regole”. A meno che non vi piaccia vincere facile o siate della Juventus…
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