venerdì 17 luglio 2020

RADIOCIXD 23: US

Vi avviso: siamo a livelli altissimi. Se non conoscete questo disco dovete rimediare assolutamente, tanto è talmente fatto bene che non dimostra gli anni che ha e non suonerà mai fuori moda. Stiamo parlando di Peter Gabriel, e di quello che può definirsi il suo capolavoro nonostante ci siano una manata di altri album che si trovano a tanto così dal soffiargli il titolo (rimando a Ondarock per un efficacissimo rendiconto complessivo). D'altronde, questa è la mia "radio" e queste sono le mie opinioni: sono certo che tra i tanti devoti fan gabrielliani ci sono preferenze diverse, come fra i cultori dei Genesis ci sono mille sfumature tra quelli per cui gli stessi praticamente non esistono andato via Peter e quelli che continuano a seguirli ancora adesso, passando per quelli (come il sottoscritto, ma già lo sapete) che apprezzano fino a quando c'era ancora Hackett e anzi anche un po' il primo da che erano rimasti in tre.
In particolare, scegliere tra Us e il precedente So è particolarmente difficile, perché in questo il livello medio dei brani è forse superiore ma in quello ci sono due capolavori assoluti come Sledgehammer (che lo è anche del videomaking) e Don't give up (impreziosito dall'impareggiabile Kate Bush), e perché in questo c'è il perfezionamento del codice della world music ma in quello assistiamo alla sua nascita (ma Gabriel ammise di dover molto all'ascolto di Crêuza de mä di Faber e Mauro Pagani). Alla fine per me prevale Us, di un soffio, ma forse solo perché ho visto una tappa del relativo Secret world tour (al palaghiaccio di Marino), che rimane senza alcun dubbio il migliore concerto dal vivo a cui io abbia mai assistito. Nei lavori precedenti, Gabriel aveva introdotto e via via perfezionato le nuove possibilità che l'elettronica dava alla musica, ma è qui che quel suono raggiunge il vertice, anche nel senso che nessuno dei rari lavori successivi riuscirà mai più ad eguagliarlo. Come al solito, consiglio vivamente l'ascolto integrale, ma fornisco anche la playlist commentata: cliccando sui video con le casse accese i brani si sentono mentre leggete. In alcuni casi ho trovato i video originali, che meritano in se. Poi mi dite...

1. Come Talk to Me
Anche se la versione studio è con Sinéad O'Connor, di questo brano vi propongo la versione live. Così, almeno in parte, capite perché ho parlato di "miglior concerto dal vivo della vita". In breve, aspettiamo osservando un palco a forma di osso lungo tutto il parquet, nero, liscio. Alla prima nota, da una botola inizia a spuntare una cabina telefonica inglese, con dentro qualcuno. Il testo è struggente, la figlia dopo la separazione con la madre non gli parla, ma tutti i sensi sono bombardati, si fatica a seguirlo. A ogni strumento che parte, esce da una botola il musicista che lo suona. Dopo un po', Peter cantando esce dalla cabina e si dirige verso l'altro estremo del palco, dove lo attende la vocalist, col filo che resiste e che alla fine se lo ritirerà indietro su un tapis roulant fino ad allora invisibile. Ok, ok: non si capisce a parole, ma ve l'avevo detto...
2. Love to Be Loved
La band conta su mostri come Tony Levin, David Rhodes e Manu Katche, a fare da architrave sotto la guida di Daniel Lenois. Ma gli ospiti sono tanti: in questa confessione accorata, un certo Brian Eno...
3. Blood of Eden
Qui invece c'è di nuovo Sinéad O'Connor, e stavolta ve la faccio sentire e vedere (era bellissima, i due pare avessero una relazione) nel video originale. Non siamo ai livelli di Don't give up, ma ci andiamo vicini.
4. Steam
Anche qui si sfiora Sledgehammer, senza raggiungerlo. Ma la potenza dell'esecuzione (specie dal vivo e specie nella linea di basso) di questo brano, perfettamente incarnata già dal titolo, è tale da avere un effetto fisico adrenalinico, tangibile, in chi lo ascolta. Meglio non sia prima di un colloquio col capo. O forse invece si.
5. Only Us
Brano intimista scelto per dar titolo all'album: due lettere come il precedente e il successivo, ma sempre meglio di niente come i primi quattro...
6. Washing of the Water
Altra confessione catartica: testo magistrale, accompagnato magistralmente da una musica perfettamente attinente, che cambia registro quando è ora "di andare".
7. Digging in the Dirt
Dall'intimismo all'impietoso scavarsi nell'intimo, o meglio nel torbido, con di nuovo la musica a sottolineare il diverso approccio. Il video, molto bello, nemmeno servirebbe.
8. Fourteen Black Paintings
Pochi versi, un manifesto: dal dolore viene il sogno, dal sogno la visione, dalla visione la gente, dalla gente il potere, dal potere il cambiamento. Con sotto John Paul Jones dei Led Zeppelin, scusate se è poco.
9. Kiss That Frog
Il primo verso di questo brano ci spiega la fortuna dell'inglese (ok, lo ha detto meglio Guccini introducendo Statale 17 nel disco coi Nomadi): "dolce principessina, lasci che le presenti Sua Ranità", non rende "sweet little princess, let me indroduce His Frogness". Brano potentissimo e video azzeccatissimo.
10. Secret world
Questo brano invece da il titolo al tour, di cui vi dicevo, dove si allungava come un mantra. La musica rotonda e intima qui fa contrasto con le collisioni, le scosse, le rotture, le costruzioni, dei nostri mondi segreti.

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