Da qualche tempo scorazza per il mondo, ripreso da tutte le televisioni, un vecchio teologo tedesco che parla come uno che vuole prendere in giro un tedesco che parla italiano. Il tipo è affetto da logorrea istituzionale, nel senso che per mestiere dice quello che pensa a 360°, dato che il suo mestiere sarebbe proprio quello di dire a tutti come si devono comportare in tutti gli aspetti anche minimi del vivere quotidiano.
Chiaramente, quando uno parla tanto e dice tante cose, qualcosa di giusto ogni tanto gli scappa. O almeno così la pensano tutti quelli che fanno a gara a citarlo e a farsi scudo delle sue parole quando conviene, e a fregarsene di lui quando non conviene.
Ora, tra le tante parole che egli pronuncia nell'esercizio delle sue funzioni, ce ne sono alcune per cui dimostra una spiccata preferenza. Una di queste è "relativismo". Uno che ha superato con medio profitto le superiori sa che la parola indica una conquista della civiltà, contrapposta com'è al concetto di "assolutismo" che dovunque sia stato declinato, in primis in politica, ha lasciato milioni di morti sul campo e tutti gli altri a vite infelici. Applicato alla religione, ad esempio, il relativismo vorrebbe che nessuna di esse possa pretendere di rappresentare la verità assoluta, pertanto suo corollario è la tolleranza (io ti lascio libero di credere che la verità sia la tua, e tu lasci libero me), anche nei confronti di chi crede magari che la verità assoluta semplicemente non esista. Che ciò sia un male, oltre che illogico è indimostrato: il relativismo religioso è tutt'altro che realizzato, è solo un miraggio in fondo al cammino della nostra povera umanità bambina. Invece il suo opposto è stato applicato per millenni (e per fortuna solo da qualche decennio disapplicato qua e la, ma mai abbastanza), provocando o dando la scusa a migliaia di guerre. Ebbene, il vecchio teologo tedesco usa la parola "relativismo", spesso associata all'aggettivo "culturale", come fosse semplicemente un'offesa. Pronunciata a modo suo, poi, con un sibilo tipo sergente di Sturmtruppen, suona efficacissima: "pussa fìa prutto relatifista!".
Ieri a Lourdes, colossale baraccone turistico tenuto in piedi dalla laica Francia perchè da solo crea più PIL del Benelux, il tipo ha pontificato (ops!) contro le leggi e i costumi relativi alla Famiglia che "relativizzano in molti Paesi la sua natura di cellula primordiale della società''. E' già strana tutta questa ossessione per la famiglia in una confessione che vieta ai suoi preti di sposarsi (in molte altre è loro concesso, e ciò non ne fa ministri di culto peggiori, semmai riducendo il problema della crisi delle vocazioni). Ma il fatto è un altro. In Francia oramai solo l'8% della popolazione si dichiara "praticante". In Italia un po' di più, ma per via della maggiore ipocrisia, non di un'effettiva quotidiana adesione ai principi e ai riti di madrechiesa, che oramai è prerogativa di settori davvero marginali della società. Basta vedere l'impressionante percentuale di conviventi separati divorziati risposati eccetera tra gli esponenti della maggioranza di governo, altrimenti così appiattita sul compiacimento alle gerarchie cattoliche. Ora pare che la rigidità papale in merito alla non opportunità di somministrare la Comunione a questo tipo di peccatori sia aumentata. Berlusconi pare stia lavorando a un lodo Alvaticano, che dispensi lui e le altre tre alte cariche dello Stato (stavolta almeno a uno di questi la cosa forse interessa...) dal divieto di accedere ai sacramenti. Casini ha già assicurato di votare a favore, perchè l'opposizione deve appoggiare i provvedimenti governativi che ritenga giusti, specie se fanno comodo ai propri leader. Ma tra questo problema e gli editoriali di Famiglia Cristiana, pare si sia aperta una crisi tra PdL e voto cattolico che rischia persino di ringalluzzire Veltroni, che infatti in questi giorni è emerso dal loculo e pare addirittura abbia emesso dei suoni.
Bisogna capirlo, il povero vecchio teologo. Lui e i suoi ultimi predecessori si sono trovati a dover adattare principi dettati migliaia di anni fa a un popolo di pastori analfabeti di zone semidesertiche, che campavano in media trentatrè anni, a una società che cambia troppo velocemente anche per i più svegli di noi. Ancora 60 anni fa non è che l'età media fosse ancora lontana dai 40/45 anni, pochi di più di quella biologica della specie umana, calcolabile per tutte le specie dalla frequenza cardiaca, che appunto supera di poco i 30 anni. Con questi numeri, normale che siano sani precetti sposarsi presto e fare subito tanti figli (le curve della mortalità infantile e della popolazione mondiale hanno lo stesso andamento iperbolico di quella dell'età media), e che mantenere in piedi per tutta la breve vita una solida struttura sociale elementare come la famiglia monogamica era sia opportuno che possibile. Campando in media il doppio, e spostandosi in avanti anche l'affievolimento dell'attività fisica e sessuale (chi si ricorda i pochi settantenni di ieri, li confronti a quelli di oggi, che sembrano i loro figli), vivere tutta la vita con la stessa persona è assimilabile a una crudele tortura sanzionabile dai tribunali internazionali dei diritti umani. O riescono, magari con una bella guerra mondiale, a riportarci a una vita più breve e di stenti (e non è che non ci stiano provando...), oppure è meglio che se ne facciano una ragione.
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