venerdì 17 luglio 2009

MEZZOGIORNO SULLE ALPI

Il titolo è quello di uno splendido album di Alice, al secolo Carla Bissi, nordica.
Il pretesto è l'uscita di un rapporto Svimez che fotografa la situazione attuale del mezzogiorno d'Italia, da leggere attentamente se si ha tempo, altrimenti parecchio riportato nella stampa generalista in questi giorni (qui il corrierone) per via della notizia centrale: 700 mila nuovi emigrati dal Sud al Nord, esclusi quelli che lasciano la residenza giù e lavorano su (tantissimi, io ad esempio l'ho fatto per oltre dieci anni....).
Il tentativo impossibile è di trovare il motore immobile, la sintesi ultima della questione meridionale, la sua prima causa in una parola. Vorrei dire la mafia, o le mafie per via dei vari nomi che assume a seconda del territorio. Lo vorrei dire perchè dopodomani è l'anniversario della fine della speranza per il nostro Paese, non a caso l'inizio dell'era chiamiamola così della democrazia televisiva (e speriamo che la riapertura delle inchieste ne possa essere l'inizio della fine...). E lo vorrei dire anche se la speranza in realtà non muore mai, finchè c'è gente che la tiene in vita, come il fuoco dei cavernicoli per tutti i millenni in cui si era scoperto come conservarlo ma non ancora come accenderlo, come ad esempio questi di daSud. Ma la criminalità organizzata non è la causa prima: non era quella che è quando la questione meridionale sorse, è cambiata si è adattata ha proliferato come un tumore ogni qualvolta - tante - le condizioni glielo hanno concesso, come ad esempio con lo sbarco degli americani o con alcune combinazioni politiche, ma senza la questione meridionale rientrerebbe nella normale incidenza che il crimine ha più o meno in ogni civiltà complessa. No, deve essere qualcosa di più generale, che vale sempre in casi del genere.
Dalla fisica sappiamo che quando un sistema è chiuso i suoi elementi tendono a trovare un equilibrio interno. E che quando due sistemi chiusi vengono a contatto, formano un unico sistema che tende a ritrovare un suo nuovo equilibrio: immaginiamo due thermos uno di acqua calda e uno di acqua fredda, colleghiamoli e alla fine avremo un sistema di due thermos di acqua tiepida. Gli economisti classici, prima di Marx, avevano provato a spiegarla, sta cosa, ad esempio Ricardo per le merci con la sua teoria dei vantaggi comparati. Tento una sintesi estrema a costo di essere impreciso: se due sistemi economici prima separati entrano in contatto, si comportano come se fossero uno solo. Non si può pretendere che tra due sistemi circoli liberamente solo ciò che ci pare: se permettiamo alle merci e ai soldi di fare il giro del mondo, lo farà anche la forza lavoro. E' la globalizzazione la madre delle immigrazioni che noi stupidamente tentiamo di fermare con inumani respingimenti e patti sotto le tende. Perchè il mondo di oggi è esattamente quello che è stata l'Italia di ieri, dopo l'annessione violenta al Regno dei Savoia con tanto di esproprio del tesoro di Stato borbonico e concentramento dell'apparato industriale al Nord: un nuovo sistema unico dove le leggi di mercato lasciate colpevolmente e intenzionalmente a se stesse spingono i più disperati a muoversi per sopravvivere, per assoluta mancanza di alternative praticabili restando nei luoghi d'origine.
Il modello di sviluppo di cui stiamo sperimentando la crisi, che non sta affando finendo come è portato a credere chi si informa esclusivamente attingendo all'abbeveratoio dell'informazione di regime, molto probabilmente porterà ad una "recessione permanente", che sarà un male solo se la subiremo anzichè guidarla. Un nuovo localismo è forse l'unica soluzione possibile, nell'ambito di una "decrescita felice". Nel disco di Alice che da il titolo a questo pezzo, c'è un brano splendido che si chiama appunto La recessione: metto qui il video e sotto il testo. Che non è del 1992, l'anno di uscita del disco, ma di una ventina di anni prima: è una poesia scritta da un profeta vero, il cui assassinio è stato un altro duro colpo alla speranza di un mondo migliore. Si chiamava Pier Paolo Pasolini.


La recessione

Rivedremo calzoni coi rattoppi,
rossi tramonti sui borghi vuoti di macchine,
pieni di povera gente che sarà tornata da Torino o dalla Germania.
I vecchi saranno padroni dei loro muretti
come poltrone di senatori
e i bambini sapranno che la minestra è poca
e che cosa significa un pezzo di pane.
E la sera sarà più nera della fine del mondo
e di notte sentiremmo i grilli
o i tuoni
e forse
qualche giovane
tra quei pochi tornati al nido tirerà fuori un mandolino.
L'aria saprà di stracci bagnati, tutto sarà lontano,
treni e corriere passeranno
ogni tanto come in un sogno.
E città grandi come mondi
saranno piene di gente che va a piedi
con i vestiti grigi
e dentro gli occhi una domanda
che non è di soldi ma è solo d'amore,
soltanto d'amore.
Le piccole fabbriche
sul più bello di un prato verde
nella curva di un fiume
nel cuore di un vecchio bosco di querce
crolleranno un poco per sera,
muretto per muretto, lamiera per lamiera.
E gli antichi palazzi
saranno come montagne di pietra, soli e chiusi
com'erano una volta.
E la sera sarà più nera della fine del mondo
e di notte
sentiremmo i grilli o i tuoni.
L'aria saprà di stracci bagnati,
tutto sarà lontano,
treni e corriere passeranno
ogni tanto
come in un sogno.
E i banditi avranno i visi di una volta
coi capelli corti sul collo
e gli occhi di loro madre
pieni del nero delle notti di luna
e saranno armati solo di un coltello.
Lo zoccolo del cavallo
toccherà la terra
leggero come una farfalla
e ricorderà ciò che è stato il silenzio, il mondo,
e ciò che sarà.

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