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lunedì 11 marzo 2013

CI SONO FOTO E FOTO

In attesa che la situazione politica si sblocchi (e si sbloccherà solo con un incarico di governo a Grillo che riceva la fiducia grazie ai voti di Sel e della componente diessina del PD, con i centristi che andranno con Monti a sancire la fine del partito-Frankenstein, pace all'anima sua: quando si dice il wishful thinking...), il blog lo alimento con due note di Facebook, relative a due eventi in svolgimento a Roma in questi giorni, cui invito a partecipare. Chi ha spazi come questo, per quanto poco seguiti, ha il dovere di tenerli in vita anche quando ha poco tempo di riempirli di commenti originali, a parte che segnalare appuntamenti culturali aderenti alla propria linea è funzione precipua di un blog in genere e in particolare questo ha già fatto la propria modesta eco ad iniziative meritevoli di varia natura.
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Donne viste da donne
Anche quest'anno, l'Associazione Culturale Femminile Plurale è lieta di invitarvi all'inaugurazione della terza edizione della mostra collettiva "Donne viste da donne", che - in armonia con l'attualità che ci circonda - getta uno sguardo al femminile sulla crisi.
La mostra, curata come sempre dalla Associazione Culturale Femminile Plurale, è stata inaugurata il 9 marzo e durerà fino al 24, in via del Verano 27 (angolo via dei Piceni 56) presso il ristorante ZeroZero100.

Pig iron
Giovedì 14 Marzo, alle ore 18.30 presso l’Art Core Gallery, in via dei Marrucini 1/1a a Roma, il fotografo Giulio Di Meo presenterà il libro "Pig Iron". Una pubblicazione sulle gravi ingiustizie sociali e ambientali commesse dalla multinazionale Vale negli stati brasiliani del Pará e del Maranhão, tra i più poveri del paese. Un libro che racconta la quotidianità delle persone che vivono lungo la ferrovia del Carajas e dei loro disagi nell'abitare una regione dove corrono 100 milioni di tonnellate di ferro ogni giorno. Non solo rifiuti e detriti, ma anche aria avvelenata, terreni intossicati ed esausti, pozzi d’acqua prosciugati, caos sociale. Attraverso le fotografie di Di Meo e i testi di Dario Bossi, missionario comboniano impegnato da anni per supportare le comunità locali, il libro documenta queste ingiustizie attraverso la resistenza e la speranza delle comunità. Il progetto editoriale oltre a raccontare la storia di queste persone, vuole essere strumento per contribuire a combattere queste ingiustizie e mezzo di informazione, sensibilizzazione e strumento di coinvolgimento per azioni concrete e solidali. Un libro indipendente e autoprodotto, per cercare di proporlo ad un prezzo accessibile a tutti e per destinare parte del ricavato ad un progetto teatrale portato avanti dai giovani della compagnia “Juventudes pela Paz” di Açailândia nel nordest del Brasile.
Durante la serata organizzata dall'associazione Shoot4Change, Di Meo parlerà del suo modo di intendere il reportage attraverso una fotografia contraria alla spettacolarizzazione delle immagini, che ci ha assuefatto al dolore e alla miseria e che ha omologato le coscienze. Una fotografia che cerca di raccontare la quotidianità, la voglia di vivere e la forza di lottare che possiedono coloro che vivono in contesti sociali difficili. Una fotografia che cerca di risvegliare la nostra indignazione e, al tempo stesso, restituire dignità a chi vive ai margini di questa stessa società. Una fotografia fatta di lotta, rabbia, indignazione ma anche di amore, passione, speranza. Inoltre, l’autore mostrerà alcuni dei sui lavori: da “Riflessi Cubani”, uno spaccato della vita cubana, a “Tra cielo e terra”, sugli abitanti delle favelas brasiliane di Rio de Janeiro; da “Avenida Dandara”, un’occupazione urbana nella periferia di Belo Horizonte, dove vivono 900 famiglie che rischiano di essere sfrattate a causa della speculazione immobiliare, a “Slowly”, un lavoro sul popolo saharawi costretto a vivere in campi profughi da 30 anni.
Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili. (Bertold Brecht)

giovedì 3 marzo 2011

DONNE VISTE DA DONNE

Domenica 6 marzo alle 18e30 appuntamento al Caffè Letterario di Via Ostiense 95 a Roma per l'inaugurazione di una mostra fotografica che intriga fin dal titolo, che infatti rubo per questo pezzo, e dal nome dell'associazione culturale che l'ha organizzata: Femminile Plurale. Nell'intervistare Serena Gentili, una delle fondatrici, comincio proprio dal gioco di parole che mi scappa di bocca: come mai per l'associazione un nome così singolare?
L'associazione Femminile Plurale nasce da una serata tra amiche, che condividono per cultura e formazione il desiderio di promuovere lo spirito di genere, il desiderio di sostenere le donne che vivono condizioni di sfavore morale o materiale, ma anche la speranza di favorire una maggiore integrazione sociale e di garantire pari opportunità per tutte.
Per andare sul concreto, l'associazione si propone di svolgere azioni di sensibilizzazione della cittadinanza e proposte di sviluppo, di sostenere esperienze culturali locali, di promuovere e diffondere la lettura, la fotografia e le arti espressive in genere, di organizzare mostre, eventi, spettacoli, manifestazioni musicali, teatrali, eccetera, o anche convegni, conferenze, dibattiti, seminari e ogni altra attività formativa e di riqualificazione professionale in genere. Infine, ci proponiamo di attivare uno sportello di primo orientamento, con professionisti specializzati, con lo scopo di garantire supporto di natura legale, medica e psicologica alle donne in difficoltà.
In particolare, in cosa consiste l'iniziativa che inaugurate domenica, e quanto dura?
Si tratta di una mostra fotografica, il cui tema è "la donna vista con la sensibilità di una donna", dedicata appunto a quelle donne che,pur ovviamente avendo nella loro vita quotidiana professioni impegni e preoccupazioni diverse, sono unite dalla fotografia come passione o come mezzo occasionale per esprimere se stesse.
Le aspiranti partecipanti avevano tempo fino al 15 febbraio per farci pervenire le loro foto: ne sono arrivate tantissime, tra cui per regolamento ne sono state scelte 23 come le coppie cromosomiche umane (la ventitreesima coppia è quella che a un certo punto talvolta "muta" per fare i maschietti, altrimenti saremmo tutte femmine! - NdR) per l'esposizione, che ricordo dura dal 6 al 16 marzo prossimi. E' anche un modo diverso dal solito di festeggiare la giornata internazionale della donna. Ah, lasciami ricordare che l'evento si svolge con la collaborazione di Arteoltre, Fotografia Comune e dello stesso Caffè Letterario, e con il patrocinio della Provincia e del Comune di Roma.
Andiamo sul pratico: quanto si paga per visitare la mostra, con che orari vi si accede, e cosa vince chi vince.
Nel pieno rispetto dei principi associativi, la partecipazione alla mostra è assolutamente gratuita, l'ingresso non presuppone nemmeno la classica tesserina di iscrizione all'associazione; insomma l'accesso all'esposizione è libero e gratuito, ed è possibile tutti i giorni dalle 10 del mattino alle2 di notte. Non avete scuse, dovete venirci a trovare!
Per quanto riguarda i premi, l'autrice della fotografia ritenuta maggiormente originale ed espressiva, a giudizio insindacabile di una "giuria di qualità", avrà la possibilità di partecipare ad un corso di Street Photography. Ma dallo scadere del termine ultimo per l'invio degli scatti, le fotografie sono pubblicate sulla nostra pagina Facebook, perchè anche il pubblico possa votare quella che preferisce. 
Giuria di qualità, voti del pubblico... caspita, quasi come Sanremo!... Scherzi a parte, per il futuro cosa avete in cantiere?
Le idee sono tante, e le stiamo ancora valutando. Tra le altre c'è un concorso letterario, sempre dedicato alle donne... Ma altre proposte ci verranno sicuramente suggerite dai tanti che ci seguono assiduamente su Facebook, un luogo dove confronti discussioni e segnalazioni sono sempre fertili e serrati.

venerdì 9 marzo 2012

SENZA

Il post sulla polemica innestata da Aldo Busi attorno al mancato coming-out di Dalla è tra i più letti della storia di questo blog, solo tramite Net1News ci sono centinaia di contatti, e forse tra qui lì e facebook ha anche il record di commenti, anche se non tutti favorevoli (meglio così, d'altronde). Merita di tornarci un attimo con una vignetta di Vauro che secondo me chiude la faccenda, andando - com'è sempre meglio - a "sottrarre".
Che ci troviamo, facciamo un ultimo saluto ad un altra stella di prima grandezza della canzone italiana di cui dovremo far senza, e speriamo basti così per ora anche solo per non diventare necrologi monotematici: Lucia Mannucci, la voce femminile del Quartetto Cetra. Aveva 92 anni, era bellissima e intelligentissima (guardate e leggete qui se non ci credete), ed era l'ultima in vita di una formazione che era decenni avanti ed è rimasta fuori dal tempo, di cui il motore era il marito Virgilio Savona, genio della musica scomparso poco tempo fa. I due restarono felicemente sposati per mezzo secolo e passa, una roba forse oggi inimmaginabile, e registrarono un album in casa quasi novantenni. Sentendo queste cose uno pensa che allora forse l'amore davvero esiste. Ascoltando cantare Lucia uno ne è sicuro. E visto che giorno era ieri, la scelta sul brano è obbligata.



A proposito di donne, anche quest'anno al Caffè letterario di Roma  l'associazione Femminile plurale organizza la mostra fotografica Donne viste da donne: si visita, gratis, tutti i giorni dalle 10 alle 2 di notte, dal 7 al 21 marzo. Senza dubbio da non perdere.

lunedì 9 agosto 2010

EXTRATERRESTRE PORTAMI VIA

Nei prossimi giorni, osservando il cielo in cerca di stelle cadenti, provate a chiedervi se siamo soli nell’universo, se fra tutti quegli astri che brillano sulla nostra testa ve ne sia qualcuno abitato. Pensate a un’altra galassia, un pianeta lontano, un luogo pieno di laghi e ruscelli, colline e distese erbose, dove il clima è sempre mite, gli abitanti ascoltano concerti di silenzio e vivono il triplo di noi.
Siete tanto scettici da non riuscire a concepire un posto così? Avete l’immaginario rovinato da anni di Visitors e alieni malintenzionati? Allora Il Pianeta Verde è il film che fa per voi. Non è una novità cinematografica – la pellicola è del 1996 – eppure il messaggio è attualissimo e vale la pena recuperarlo.
Sul Pianeta Verde, infatti, la natura è intatta; gli abitanti, del tutto simili a noi, non hanno bisogno di case e dormono fra l’erba. Le giornate sono scandite da bagni nel lago, da giochi che fortificano, dallo studio: lezioni di telepatia, di intuizione del futuro, di viaggi interstellari, di matematica dello spazio, di archeologia. Non ci sono gerarchie: il pianeta è governato da tutti e da nessuno. Una volta all’anno c’è un’assemblea coi delegati del pianeta che si ritrovano in cima a una montagna perché quando si cammina due ore in salita si è più intelligenti. In quell’occasione, si decidono quanti matrimoni fare e quanti bambini far nascere a seconda del raccolto; si ricordano quelli che non ci sono più, tutti morti felici e saggi oltre i 250 anni; si offrono cibo e servizi e, soprattutto, si decidono i viaggi: i pianeti sui quali andare per osservare, informarsi, studiarne l’evoluzione. Sono duecento anni che nessuno vuole andare sulla Terra. Del resto, lì non c’è niente da imparare, gli abitanti sono arretrati, il livello evolutivo è incredibilmente basso. Vi sono Paesi dove le donne portano un velo sul viso e non hanno diritto di guidare la macchina. Eh già, perchè - pensate - hanno ancora le automobili! Sono ancora in piena era industriale, quella che il Pianeta Verde ha vissuto tremila anni prima: un’epoca di competizione, contabilità, produzione in massa di oggetti inutili; la guerra, il nucleare, la distruzione della natura, le malattie senza rimedio. La preistoria, insomma. Inoltre, sulla Terra la gerarchia è in qualunque cosa: tutti si credono capi, gli uomini si credono superiori alle donne, la gente di città a quella di campagna, gli umani agli animali e alle piante. E poi ci sono le razze, specie umane molto diverse. Il giorno che si sono incontrate, le più degenerate si sono sentite superiori ed è stato un massacro. Adesso sono i degenerati che comandano.
Per queste ragioni anche durante l’ultima assemblea sembrano mancare i volontari, ma finalmente si offre Mila, la cui madre era una terrestre. Desiderosa di conoscere il pianeta materno, la donna arriva sulla Terra, nella Parigi di fine anni Novanta dove, grazie ai programmi di "sconnessione" di cui è dotata, riuscirà, semplicemente parlando, a mettere in moto il livello di coscienza delle persone che incontra. Queste sono tutte piuttosto sgarbate, corrono senza curarsi di niente e di nessuno; l’aria è inquinata, c’è tanto traffico e tutto è ricoperto di cemento e asfalto. Il mondo che Mila vede è un posto dove vivere è difficilissimo, dove si usa ancora la moneta senza la quale non si può avere nulla, neppure il cibo benché mangiare sia una necessità perché si muore, se non si mangia. Così, la donna si trova costretta più volte a dover usare la sconnessione – il sistema che fa avanzare più in fretta le persone - grazie alla quale assistiamo a scene davvero divertenti come quella dello stadio dove i calciatori, nel mezzo di una partita importante, smettono di inseguire la palla e iniziano a danzare tutti insieme, l’arbitro si mette a cantare ‘O sole mio e i due portieri prendono a baciarsi appassionatamente.
Anche i figli maggiori di Mila arrivano sulla Terra attratti da due ragazze viste telepaticamente in compagnia della loro madre ma, nel tentativo di raggiungerla, finiscono per errore nel deserto australiano dove incontrano gli aborigeni che vivono in questo Paese da 40.000 anni e non hanno rovinato assolutamente nulla qui, sono molto belli, tutti neri, hanno le nostre stesse medicine e il cibo è ottimo. E, inoltre, sono fortissimi in telepatia. Sono avanzati quanto noi.
Si chiarisce così ulteriormente il punto di vista degli abitanti del Pianeta Verde – punto di vista che diventa il nostro ed è questo il vero obiettivo della narrazione - per i quali ciò che noi consideriamo progresso è preistoria; il nostro presente è il loro passato, quello che hanno superato per arrivare allo stadio evolutivo avanzato in cui si trovano ora. Dopo l’era industriale, da noi ci sono stati i grandi processi. Chi fabbricava prodotti nocivi per la salute degli umani, degli animali e delle piante, è stato accusato di genocidio e crimini contro il pianeta: le industrie agroalimentari e chimiche, i fabbricanti di armi, tabacco e alcool, le industrie farmaceutiche e nucleari, i costruttori di automobili, gli architetti, i medici, e i politici che si erano arricchiti lasciando fare. E’ stata la guerra civile e poi il boicottaggio: tutto quello che era stato nocivo per la salute non si comprava più o si buttava. Fu l’arma vincente: senza vendite niente potere, l’esercito e la polizia erano impotenti… Quell’epoca fu chiamata “caos pre-rinascimento”.
La visione di questo film è un salto e un ritorno nel futuro arcaico. E’ la possibilità che ci viene offerta di guardare la Terra da lontano, con gli occhi di chi ha capito che la vera evoluzione non ha nulla a che fare con la nostra idea di progresso, che non è lo sfruttamento indiscriminato delle risorse, non è il dominio di un popolo su un altro popolo o degli uomini sulle donne, non è il petrolio che inquina il mare e distrugge le coste, non è l’arroganza di quanti si credono migliori solo perché sono nati e vivono in una parte di mondo industrializzato e ricco. E’ lo spunto per riflettere sulla condizione di quanti, convinti di essere dei privilegiati, sono in realtà da commiserare: poveri di spirito, incapaci di ascoltare, di esprimere sentimenti ed emozioni, vittime del proprio egoismo e della propria superbia, costretti a respirare, bere e mangiare veleni.
Non importa se la storia, seppure – o proprio perché - narrata con l’artificio della comicità, risulta a tratti inverosimile e un po’ ingenua. La sua forza sta nella capacità di non lasciarci indifferenti, di metterci davanti a interrogativi ai quali non si può più sfuggire: in che modo e in che mondo vogliamo vivere? Siamo certi che è solo dallo sviluppo industriale che possiamo ricavare il necessario per stare bene ed essere felici? Siamo disposti a valutare l’idea che per evolvere dobbiamo tornare a uno stadio primordiale del sentire e del vivere la vita nel pieno rispetto della natura e degli altri esseri viventi?
Forse è il caso di riflettere e se non siamo ancora convinti ricordiamoci delle parole di Orso in Piedi, uno degli ultimi capi indiani Sioux:
Quando l'ultimo albero
Sarà stato abbattuto,
L'ultimo fiume avvelenato,
L'ultimo pesce pescato,
L'ultimo animale libero ucciso,
Vi accorgerete
Che non si può mangiare il denaro
Dopo aver visto questo film potrebbe persino capitarvi, intercettando una stella cadente, di ritrovarvi a canticchiare il vostro desiderio: “extra terrestre vienimi a cercare, voglio un pianeta su cui ricominciare…
Gemma Serena
...
E brava Gemma, sei andata a recuperare dalla cineteca questo film francese divertente e leggero (quasi un ossimoro), che non è piaciuto affatto a certa critica ma a me si: poter andare a vedere al cinema titoli che in altre città non arrivano è una delle ragioni per cui amo vivere a Roma. Perchè i film si vedono al cinema, punto e basta. Ma questo deve essere talmente fuori dai circuiti commerciali, ormai, che c'è in visione integrale su Google video, per cui credo sia da un lato legale e dall'altro opportuno farvelo vedere da qui. Godetevelo: vale la pena proprio per le riflessioni che attiva, come giustamente sottolinea Gemma che però chiude con un verso di Finardi estrapolato da un testo che finisce ben diversamente da come comincia, come vedrete se avrete la pazienza di leggervelo tutto o riascoltarvi il pezzo.
Questo per dirvi: andate in uno dei posti consigliati dagli esperti in una delle prossime notti o almeno nel posto vicino a voi più lontano dalle luci di città, a guardare le stelle sdraiati per terra, ma appunto mentre la vista è incantata dal firmamento non dimenticate di lasciare una parte dei vostri meccanismi dell'attenzione attivata sul tatto, a sentire dove avete poggiato il culo.

venerdì 13 luglio 2012

VISSI D'ARTE

Uno zibaldoncino di metà luglio me lo fate fare? (questa frase ve la immaginate detta da Guccini come nella intro de La fiera di San Lazzaro, per cortesia, e così abbiamo la musica...)
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Oggi a Roma si inaugura la seconda edizione della mostra fotografica Donne viste da donne, organizzata dall'associazione Femminile Plurale. E' a Trastevere, uno di quei posti dove una passeggiata merita comunque, presso Gocce d'inchiostro, una di quelle librerie che meritano una visita a prescindere, e chi la organizza merita il nostro e il vostro sostegno, come dimostra e perché ve lo leggete nell'intervista dell'anno scorso a una delle esponenti. E così abbiamo la fotografia.
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A giugno scorso è uscito il nuovo libro di Grazia Zucconelli. Si tratta di una raccolta di poesie edita in selfpublishing, un'altra di quelle cose per cui essere grati a Internet (tende a rimpiazzare gli "editori a pagamento", troppo spesso tipografi mascherati): di che parla ve lo leggete nella scheda, per un motivo in più per comprarlo vi rileggete l'intervista dell'anno scorso all'autrice in occasione di altre uscite, lo scopo benefico essendo lo stesso, cioè il sostegno alla missione sanitaria africana di Chiara Castellani. E così abbiamo la letteratura.
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D'estate a Roma ci sono talmente tante arene che è facile recuperare eventuali film persi durante la programmazione della stagione precedente. A volte capisci che c'era un buon motivo per cui quel film te lo eri perso, ma altre volte invece recuperi un capolavoro. E' questo il caso di Scialla!, il film con cui ha esordito alla regia (premiato a Venezia 2011) uno che capisce di sceneggiatura, un prodotto di quella scuola cinematografica italiana che rischia di essere un'altra delle cose rovinate dai tagli a pene di segugio dei cosiddetti tecnici. Cercate di vederlo, vi divertirà tantissimo senza farvi staccare la spina al cervello, nella tradizione della migliore commedia italiana. E così abbiamo il cinema.
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Poi che non si dica che questo non è un blog culturale: cinema, letteratura, fotografia e musica in un post solo, con la musica che torna pure in chiusura con l'aggiunta di un blog interessantissimo in colonna laterale, lo Spaccadischi. Perché non è che uno se lo inventa, di restare aggiornato di questi tempi: occorrono le antenne buone....

lunedì 25 settembre 2017

5 - PASQUA

In attesa di Sushi Marina (lo so che state trepidando, anche se nessuno ancora mi ha scritto o telefonato per dirmi "mettimene da parte una copia"...), continua la pubblicazione dei racconti di Chi c'è c'è, raccolti da un "geestre" direttamente dalle menti di 21 terrestri in animazione sospesa su un astronave perduta nel cosmo, forse ultima testimonianza del nostro pianeta ormai distrutto. Qui abbiamo un giovane australiano, che sogna di parlare con un suo amico psicologo.

5 - PASQUA
  • Dottore, è da un po’ di tempo che faccio un sogno strano.
  • Intanto smettila di chiamarmi dottore, che pare proprio che mi vuoi prendere per il culo.
  • Perché, non sei dottore, scusa? PISSICOLOGO TRANSAZIONALISTA, altro che cazzi!
  • Si, va beh, sfotti pure... Intendo dire che noi siamo qui come amici, perché in quanto tali io non posso darti un appuntamento come analista. Anzi, ti dirò di più: non posso neanche consigliarti se andare o meno in analisi. Al più posso farti parlare un po’, da amico appunto, e se parlando parlando capisci che vuoi cominciare un trattamento ti posso consigliare qualcuno bravo, e magari non troppo caro. Dunque, checcazzo ti è successo?
  • Oh, niente; a parte che sono stato cacciato di casa da mia moglie dopo nove anni di matrimonio, che la salute è un paio d’anni che va e che viene, e che anche per questi motivi non riesco proprio ad ingranare col lavoro. Quindi non mangio, sono in difficoltà economiche, dormo poco e male, e quando dormo faccio sempre lo stesso strano sogno: sono nudo....
  • Aspetta, aspetta; andiamo con ordine: mi pareva che negli ultimi tempi con tua moglie le cose andassero piuttosto bene, o almeno tu ti dichiaravi molto contento...
  • Infatti pareva proprio così. Il fatto è che io e Lucy non dovevamo sposarci. Anzi, non dovevamo neanche fare tutta una serie di passi precedenti, e non li avremmo fatti -infatti- se io fossi stato sano, avessi cioè aspettato che a volerli fossimo stati veramente entrambi. Invece ciò che io chiamavo amore mi spingeva a spingere sempre, anche da solo, e... Insomma, lei era molto giovane quando ci siamo messi insieme, non aveva avuto altri uomini prima di me, e presto divenne insofferente di fronte alla mia progettualità così chiara. Abbiamo avuto sempre problemi, solo che io ci passavo sopra, e lei li interiorizzava inconsapevolmente. Da un paio di anni però, da quando cioè i miei piccoli problemi di salute mi hanno fatto mollare la spinta, mi cominciava ad essere chiaro che lei non mi accettava per quello che ero, nonostante tutto il tempo passato insieme, e le cose belle fatte e viste, e l’amicizia, e l’aiuto reciproco, e l’intesa sessuale, e la confidenza: non si spiegavano altrimenti certe uscite, certi litigi... Così glielo dissi, e lei negò. Disse che mi amava, non poteva fare a meno di me, erano solo problemi suoi, dovevo aiutarla, avere pazienza... certo che però forse fare le vacanze ognuno per conto suo le sarebbe servito a fare chiarezza dentro di sé, ed in autunno ne avremmo riparlato con maggiore cognizione di causa...
  • Fermati, queste storie le conosco già. Rimane il fatto che lo scorso autunno...
  • Già, lo scorso autunno. Poco dopo il ritorno dalle vacanze le cose parvero improvvisamente aggiustarsi: la mia salute era di nuovo ok, il nostro rapporto era divenuto più maturo ed appagante, e così trovai pure nuova forza e nuove motivazioni per sfondare nella mia attività: lei mi aveva addirittura “confessato” che, se fossi riuscito a guadagnare abbastanza, avrebbe volentieri  lasciato il lavoro per dedicarsi alla casa, e mi avrebbe finalmente dato dei figli! Dei figli, capisci? Non ne aveva mai voluto neanche parlare! Toccavo il cielo con un dito.
  • Mi ricordo, è appunto allora che ci siano visti l’ultima volta.
  • Poi a dicembre mi consigliò caldamente di staccare per una settimana, che lei mi avrebbe raggiunto giù a Melbourne dai miei per Natale. Capisci? Tempo prima avrei dovuto estorcerglielo, e a caro prezzo, ciò che ora era un’offerta spontanea. Mi pareva di sognare!
  • E allora?
  • E allora, per raggiungermi mi raggiunse, ma appena scesa dall’aereo mi disse a brutto muso che “doveva parlarmi”. C’era che negli ultimi mesi aveva finto di star bene con me, finto, sì, per poter riflettere in pace, che poi aveva deciso di vedere se era capace di farmi partire appositamente per farsi una storia di puro sesso con uno di cui non le importava nulla, e se ci fosse riuscita mi avrebbe lasciato. Ci era riuscita.
  • Ah!
  • Nel mese successivo ho dormito sul divano: lei non è che volesse proprio rompere definitivamente, diceva che gli sarebbero bastati cinque, poi quattro, poi anche due mesi da sola per capire che aveva sbagliato, e quindi richiamarmi. Però intanto ero io a dovermene andare da casa, che era casa sua - e ci teneva a riaffermarlo!, e non lei che poteva benissimo tornare da sua madre all’isolato accanto. Ero io che avrei dovuto tenere vivo l’amore aspettando i suoi porci comodi. No, giusto il tempo che ci vuole a Sidney per trovare un monolocale in affitto: questo potevo darle e questo le ho dato, e non sai le lacrime che mi è costato.
  • Ma tu, a Lucy, l’hai mai tradita?
  • No. No, mai. Ed ora ho come la sensazione di essere stato io in difetto. Che ne so, forse non ci so fare a letto. Cioè, lei mi gridava sotto, ed era sempre lei a dire basta, ma per quanto ne so poteva benissimo fingere: se no perché cercare altri? Io non ho mai cercato...
  • Così ora sogni che sei nudo... Mi pare una metafora troppo facile.
  • Sì, “l’uomo che ama è completamente nudo, la donna invece è sempre dietro uno scudo”, com’era la canzone? No, non c’entra! Nel mio sogno sono nudo, ma corro per strada, poi entro in uno stadio di marmo, da solo, e migliaia di persone mi applaudono, e io...io HO VINTO! Vengo portato in trionfo, mi gettano dei fiori, ed io giro sotto gli spalti per raccoglierli, poi salgo sul podio e mi cingono il capo con una corona d’alloro. Sono nudo, sì, ma non me ne accorgo. Il sesso non esiste, né tantomeno la vergogna. Improvvisamente non riesco più a respirare, l’aria è cattiva, l’alloro punge, lo tocco con le mani...: è una corona di spine! La gente urla, poi spinge, e lo stadio è in rovina, d’un tratto; io svengo, è buio, no: laggiù c’è una luce. Non voglio uscire. Lasciatemi qui dentro, lasciatemi stare! E invece mi tirano fuori, a forza. Respiro: l’aria fa male, ed io piango! UEEEEEEEE! Sono nato, ed è un posto bellissimo. Il cielo è il più limpido che esista, c’è un vento che non consente a nessuna nuvola di fermarsi. Mi hanno portato dei fiori, anche qui, ma la gente è diversa, è più buona. Più equilibrata, direi (se non fossi un neonato), anche se un po’ - come dire - statica. Mi alzo e guardo meglio: sono enormi, faccioni enormi senza corpo, fissano tutti lo stesso punto nel cielo, oltre l’orizzonte e...sono di pietra! Di pietra!
  • L’isola di Pasqua!
  • L’isola di Pasqua, appunto: che vuol dire?
  • Vuol dire, vuol dire... Che ne so che vuol dire, sono mica un ciarlatano, io! No, anzi, lo so: vuol dire che sei sull’orlo di quello che una volta chiamavano “esaurimento nervoso”, tanto per capirci. Quanto dormi a notte?
  • Mah, direi due o tre ore al massimo, per un fatto o per l’altro.
  • Da quanto tempo?
  • Da cinque mesi circa.
  • Bene. Guarda, per l’analisi c’è tempo, deciderai con calma. Io, lo sai, non posso prescrivere farmaci, e anche se potessi sono ideologicamente contrario. Ma questa la puoi prendere, è una sostanza naturale, nel senso che il nostro organismo normalmente ne produce di suo quanto ci serve per farci dormire. Prendine una ogni sera alle undici, e tra un mese torna a dirmi come stai.
  • E se rifaccio quel sogno?
  • Eeeh, vuol dire che io intanto ne studio il significato, va bene? E se lo rifai te lo spiego. E non provare neanche a fare il gesto di pagarmi che m’incazzo.
  • Ma le pillole...
  • Quelle me le regalano, a me, stronzo! Ti comprerai le prossime. E poi, te lo dico ogni volta: se vuoi sdebitarti mandami gente da spennare, non mi dire che non hai amici che sognano di volare tra mare e tempo, magari proprio sul Pacifico verso l’isola di Pasqua!
  • Ok, ora chiedo in giro, magari a quelli separati da poco, come me. Negli  ultimi tempi pare che ci sia un’epidemia!
  • Eh, sì: non ci sono più i valori di una volta!
  • I valori? Non ci sono più le donne, di una volta!
  • In compenso però ci sono più porcone. Vedi di trovartene qualcuna, magari separata pure lei, e appozza il biscotto, vecchio zozzone!
  • Certo che questi livelli di professionalità solo voi che avete studiato in Inghilterra...
  • Sì, la professionalità di tua sorella! Ah, a proposito, salutamela!
  • Certo, dopo che passo da tua moglie!
  • Vaffanculo.
  • ‘culo...

martedì 14 dicembre 2010

ISTINTIVAMENTE ISTANBUL

Suleymaniye, moschea del XV secolo
restaurata troppo pesantemente
Oggi che Berlusconi riesce per l'ennesima volta a salvarsi il culo, grazie a tre finiani, due del PD e due dell'Italia dei Valori, io non mi azzardo a commentare l'incommentabile e vi parlo di Istanbul.
Pochi giorni non bastano nemmeno ad una visita turistica classica, ma non riesco proprio ad andare in un posto senza tentare di guardare di sbieco, cercando tra le righe del libro aperto che è una città che si vende per vivere.
Non serve ricordare che Bisanzio (città assurda, città strana) divenuta Costantinopoli raccolse l'eredità di Roma, quindi conquistata dall'Islam lo conquistò divenendo il centro del suo quarto impero fino alla Prima guerra mondiale, quando sbagliò alleato. Poteva finire a rotoli, senza l'intervento di Mustafà Kemal, non a caso detto Ataturk, "padre dei turchi", il che a me ricorda come nella provincia lucano-pugliese per dire "mio padre" si dice "attanime". E' sotto di lui che la moderna Turchia si incamminò in un processo di laicizzazione decennale, che però ha invertito il suo verso negli ultimi tempi. Oggi, la sterminata città conta tredici milioni di abitanti (ma i turchi ti dicono sedici, diciassette, come fosse una cosa di cui vantarsi), ma nelle zone che bazzichiamo noi turisti, essenzialmente le europee più antiche, i turchi in giro sono una minoranza, e tra loro una maggioranza di uomini, le donne spesso a capo coperto. Anche se sul velo ci sarebbe tanto da ragionare, valutando da un lato la fondatezza dell'interpretazione coranica che lo imporrebbe e dall'altro la legittimità della sua critica in nome di una emancipazione femminile tutta da valutare, non è un buon segno per il sogno di Ataturk.
Istanbul mi ricorda istintivamente Venezia (e Chianalea...)
Fino a poco tempo fa, e infatti le guide turistiche riportano ancora questa raccomandazione, una moneta ipersvalutata e una superinflazione rendevano assolutamente sconsigliabile cambiare, anzi, i turchi stessi cui putacaso pagavi una cena 12milioni di lire andavano di corsa a cambiarle in euro o dollari perchè tenessero potere d'acquisto. Oggi il processo inflattivo è molto minore e il cambio euro/lira è fisso su 1 a 2, in vista del tanto anelato ingresso in Europa, ma già i più furbi tra i negozianti e ristoratori ti fanno un cambio diverso tenendosi una commissione fittizia. Come se vox populi abbia cominciato a dubitare della bontà del progetto, anche solo guardando poco oltre il loro naso, i cugini greci.
Di sicuro guardandosi intorno, tra file di negozi ininterrotte, bazar sterminati (una notizia: il centro commerciale NON è una nostra invenzione), e zone grandi come tutta Terni (dico per dire, perchè TR è la sigla automobilistica sia della cittadina italiana che della repubblica turca) costituite quasi esclusivamente da ristoranti pub e locali vari, non si capisce come possa convenire a questa gente rinunciare a una moneta abbastanza debole da averli trasformati in una meta turistica obbligata per la stragrande maggioranza di quei pochi tra i poveri cittadini dell'area euro che ancora si possono permettere una vacanza. L'ultima sera a cena nella Montmartre turca, una deliziosa stradina che scende verso il mare dal liceo di Galatasaray, nel localino striminzito gestito da un ragazzo di vent'anni che potrei mostrarvi mettendo una mia vecchia foto, tanto mi è parso mi somigliasse, pensavo a quanti dei suoi parenti e avi sono emigrati specie in Germania nei decenni passati, e a come dunque si debba ritenere fortunato lui ad avere la possibilità di lavorare nella sua terra, a come difenda questa prospettiva lavorando duro e bene (era peraltro gentile e professionale): da noi i suoi coetanei li abbiamo costretti dietro le barricate e sotto i manganelli, per assenza di altra prospettiva.
Santa Sofia, da qui si affacciava il Sultano
Basta, sono appena tornato da una breve vacanza e mi sto già riavvelenando. Mi rifugio allora col pensiero nelle tante bellezze viste pur in così poco tempo e col maltempo siberiano sul collo, tante sì ma per decidere di andare o tornare a Istanbul ne basta una: la chiesa più bella del mondo, per mille anni anche la più grande, poi moschea e modello per tutte le moschee del mondo, la basilica della divina Sapienza, o Ayasofya, o come la conosciamo noi Santa Sofia. Una costruzione così proporzionata e imponente, ultimata ai tempi in meno di sei anni di lavori da mille muratori e diecimila manovali. Saranno stati schiavi, ci viene da dire a noi che siamo stati addestrati a pensare di non esserlo, mentre invece lo siamo anche noi, ah se lo siamo... E i ragazzi se ne stanno accorgendo: io leggo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando...

sabato 22 luglio 2023

RADIOCIXD 68 - LO STATO SOCIALE

Nonostante io vada per i sessanta, continuo a spulciare sul web in cerca di musica nuova, al punto che ho sorpreso un mio nipote meno che trentenne per avergli fatto ascoltare in macchina (lui direbbe "per avere nella mia playlist") cose che manco tutti i suoi coetanei conoscono. Le mie recensioni di questa rubrica, però, è circostanza rarissima se non nulla che esse riguardino dischi recenti, sia perché è il concetto stesso di "album" a sembrare oramai sorpassato (infatti Peter Gabriel, che ha superato i settanta ma trova sempre un qualcosa a dimostrare ancora che lui è ancora avanti: ora sta facendo uscire il suo nuovo disco a rate, superando in rilancio la moda ormai consolidata dei singoli da radio governandola anziché subirla), sia perché non ho finora trovato nulla di degno, mi direte che sarà l'età ma io mi ostino a vederci ragioni oggettive.

Più ascoltavo il nuovo album de Lo stato sociale, però, più brano dopo brano ero piacevolmente sorpreso di non registrare "cali di livello", perlomeno non drammatici, specialmente per quanto riguarda i testi. Cosa, si, piuttosto atipica in un periodo storico in cui anche chi passa per essere trasgressivo e up-to-date musicalmente tratta quasi esclusivamente temi triti e in modo trito (il cosiddetto amore nel 99% dei casi), e se fa eccezione è per un brano o due. E invece piuttosto tipica di un periodo storico in cui quello giovane ero io. E cosa che non può piacere ai ggiovanidoggi, a cui Rockol per ragioni di target evidentemente alliscia il pelo. Ma siccome uno dei lati positivi di essere piccolissimo e lavorare a gratis, o in altri termini di non avere target ovvero non cercare click, è quello di poter scrivere letteralmente quello che mi pare, da Rockol vi propongo le date dei prossimi concerti di questi ragazzi con il caldo invito ad andarci (anche perché, e direi anche giustamente, se non sei un superbig oggigiorno di musica campi solo grazie ai concerti), qui vi metto un link alla playlist dell'album Stupido Sexy Futuro al completo, e appresso vi propino una breve antologia di frasi estratte dalla discografia della band, a dimostrare quanto asserito sulla loro "odierna originalità". E perché leggere e ascoltare cose sensate fa sempre bene, da ragazzi giovani ancora meglio: non è che possiamo sempre leggere Maurizio Blondet (ad esempio questa raccolta di espressioni che dimostrano la statura morale e intellettuale dimostrata da troppi ai tempi degli obblighi vaccinali, titolata magistralmente Giornata della memoria) o ascoltare Roger Waters (che a ottant'anni ancora si deve difendere da accuse idiote, di chi non si è evidentemente nemmeno disturbato di seguirne i testi altrimenti se le sarebbe rimangiate, per avere l'unica posizione coerente sulla questione palestinese - e non solo - di tutto il cucuzzaro).

Ma basta divagare, ecco a voi il pensiero di una band che già dal nome (quello di una delle poche istituzioni realmente democratiche mai viste nella storia dell'umanità, non a caso in fase di smantellamento da un trentennio con accelerazione odierna) lo tradisce. Se vi va, qui i testi ci sono tutti, e meriterebbe di mettere su la discografia completa e accompagnarne l'ascolto con la stampa in mano (come si usava ai miei tempi con la copertina degli ellepì: non sapete che vi siete persi), intanto ecco la mia antologia:

  • Questo è combat pop, mica rock 'n' roll: nella vita si può anche dire di no alle canzoni d'amore, alle lezioni di stile, alle hit del mese, alle buone maniere.
  • La prima volta che vai a Sanremo sei una bomba che esplode in un convento, dalla seconda volta sei già un coglione che fa parte dell’arredamento. Ecco a voi cinque poveracci vestiti con gli abiti sponsor [...], era meglio se morivano giovani e stronzi. Fottuti per sempre, famosi per gioco, non è vero che la musica ti salverà: manca una consonante per indovinare il nome della nostra band e vincere l’Eredità. Nnon credere a niente quando tutto è una moda, spendi tutti i soldi e fotti la celebrità: non c’è niente di vero a a parte le canzoni che scrivi a sedici anni sopra ai cessi di un bar.
  • Pompa il debito, spendi i soldi che non hai, monetizza sui diritti e parla solo dei problemi dei ricchi. Una ricca donna milanese ti invita ad essere femminista comprando una t-shirt firmata da seicento euro, [...]il cosplay di David Bowie fa un discorso sull'inclusività con una giacca inclusiva da sei mila euro. [...] Ti piacciono gli uomini? Quella è la fila. Ti piacciono le donne? Quella è la fila. Ti piacciono tutti e due? Quelle con le lentiggini? Quelli pelati con la coda? I vigili urbani? Mettiti in fila e passa in cassa. E senti come sono buoni questi pomodori, un vero prodotto italiano, raccolti da braccianti italiani in schiavitù, anche loro un vero prodotto italiano. [...] Quando in giro ci sono ancora padroni e sfruttati, licenziamenti via SMS, fabbriche svuotate e quattro morti sul lavoro ogni giorno. Quando in giro ci sono sempre più persone deboli economicamente, che è il modo che hanno i ricchi per dire poveri. Ma stiamo divagando, meglio fare qualche nome: Agnelli, Elkann, Valditara, Cairo, Draghi, Berlusconi, Briatore, Moratti, Renzi, Boschi, Salvini, Letta, Calenda, Sgarbi, Meloni. Chi era ricco è diventato anche più ricco, chi aveva potere ha continuato ad averlo, chi aveva armi ha continuato ad averle. Diventa brand ambassador della tua schiavitù: pompa il debito.
  • Abbiamo vinto la guerra, e non era mica facile; e già che avanzavano cartucce siamo rimasti per vincere anche la pace.
  • Da oggi nessuno potrà avere un patrimonio di più di un milione di euro, sarebbe giustissimo: di soldi ne avrebbero tutti un po' di più. Niente fame nel mondo né guerre né crisi energetiche, nemmeno jet privé. Ma soprattutto niente ricchi di merda, scoppiassero tutti.
  • Mi sono rotto il cazzo di questa città, degli aperitivi a dieci euro, del clima di terrore a gratis, dei giovani di sinistra, arrivisti, bugiardi, senza lode: gente che in una gara di idiozia riuscirebbe ad arrivare secondo.
  • Han detto "la vita è pagare i debiti che fanno i ricchi, e aspettare pure il resto a calci in culo", e mi han detto che si chiamano profitti.
  • E alla fine è meglio essere liberi che furbi, meglio essere sprovveduti che intelligenti, [...]meglio essere vivi che vissuti, meglio essere sbagliati che incompiuti. Il resto sono solo scuse per sentirsi in fondo in compagnia nel rimanere soli con i propri alibi, mentre il tempo vince un altro solitario con te.
  • Meglio morire di bellezza che sparare stronzate, meglio godere senza vergogna che godere di reputazione: nasci rockstar e muori giudice ad un talent show, nasci artista di strada e muori imprenditore, nasci suonando gratis e finisci venendo giù dentro al sistema, come gli altri ma diverso.
  • Lo dicono i medici, le statistiche: la mia grinta è nell'affrontare il mondo. Faccio attività fisica così poi da vecchio posso morire in salute.
  • Mi piace la musica sporca, cantata e suonata male, fatta con tre euro, che ti spacca le orecchie e il cuore, la musica fuori dalle radio, dalle playlist, dalle classifiche virali, che non parla di quanto scopi, di quanto sei ricco e famoso, di quanto spacchi il culo, di quanto hai rotto i coglioni o ce li hai girati: la musica degli sfigati. Senza Tesla, Moët, Huarache, Ferragamo, Fendi. [...] Una musica fatta con amore, che non è mai sentimentale. Una musica fatta col culo, che non è mai volgare. La musica dei fuoricorso, dei fuorimoda, dei fuorisede, di chi non gira in fuoriseriе. Senza figli di papà che fanno finta di venirе dal quartiere, senza quelli del quartiere che ti fanno la morale. Una musica senza pagare, senza suonare, senza volere arrivare primi tra gli scemi, come quando godi, godi, godi, godi, godi, godi, godi, godi e poi non vieni. Di chi non passa i concorsi, di chi lavora otto ore, di chi prende psicofarmaci, di chi non sa scopare, di chi non ha successo, di chi si sente brutto, di chi si vergogna di spogliarsi anche al mare, a letto[...]. Mi piace la musica gratis, la musica che non fa campare. Ma piena di figli di puttana che non vanno alle sfilate, che non bevono tisane, che non si chiudono in una stanza (il mondo deve stare fuori ad ascoltare le loro crisi, i loro Xanax, i soldi spesi per dimenticare i problemi di erezione), di quelli a cui la gente non chiede mai una foto, ma conosce le canzoni, di chi ha paura, e lo ammette, delle donne e dell'amore, di chi lavora nei call center, di chi consegna pizze a ore, di chi è stato sgomberato, di chi è eterno laureato. di chi ha perso tutto, ma almeno un po', un po' si è divertito, di chi sta sveglio, chi si taglia, fuma benzodiazepine, di chi viene menato o ammazzato nelle strade perché nero, perché arabo, perché omosessuale, di chi l'ha preso in culo e non lo sa ridare.

lunedì 25 giugno 2012

DI ANGELI CADUTI

La curva sale nei primi anni della legge, che resistette a un referendum abrogativo
che costituì una formidabile palestra di partecipazione politica a tutta una generazione,
ma solo per l'effetto "emersione", dopo è in calo prima drastico poi costante, nonostante
le enormi difficoltà pratiche in cui ha operato, obiezione di coscienza dei medici in testa
La notizia è che la Consulta ha fortunatamente respinto l'ennesimo attacco alla Legge 194 e per suo tramite alla laicità dello Stato (per quanto incompiuta essa sia da sempre, ai confessionalisti non basta mai). Per i distratti, si tratta della legge che disciplinò per la prima volta in Italia il fenomeno delle interruzioni di gravidanza, descritta in malafede come "legge per l'aborto" quando se si deve necessariamente ricorrere a una sintesi così estrema si dovrebbe dire "legge contro l'aborto". Le statistiche parlano chiaro: chi è proattivo se ne cerchi di più aggiornate, io ho trovato queste fino al 2005 molto eloquenti, per i pigri riporto i due grafici in foto, che dimostrano inoppugnabilmente come la legge abbia funzionato egregiamente, riducendo gli aborti in una maniera significativa, che risulta ancora più netta depurando il dato da quello relativo alle madri straniere purtroppo in controtendenza. E lo ha fatto nonostante sia rimasta costantemente sotto attacco sia in punta di diritto, da parte degli ultracattolici di ogni parte politica, che in via di fatto, tramite un ricorso all'obiezione di coscienza talmente in crescita da far necessariamente pensare a male, viste la reale consistenza percentuale dei cattolici praticanti e osservanti nel Paese e d'altro canto il peso della Chiesa nella sanità nazionale, ben debordante il fenomeno già di per se abnorme di cliniche e ospedali vaticanodiretti. E senza contare i vari dottor Dobermann, che fanno a pagamento in privato quello che la coscienza gli vieta di fare gratis in pubblico, contro cui siccome noi atei e agnostici siamo gente mite facciamo satira ma se ci comportassimo come i religiosi li manderemmo a un meritato rogo.
La figura precedente mostra un calo costante ma non ripido, questa figura ne dà la spiegazione, disaggregando il dato tra donne nate in Italia e non, dimostrando inoltre "a contrario" l'utilità di strutture come i consultori e l'incidenza di grado di istruzione e condizione sociale: depurato dal dato relativo alle immigrate, il calo degli aborti in Italia è netto e significativo. Chiunque si dica contrario all'aborto deve difendere la L. 194, non attaccarla!
Ragionare sui dati reali è però esercizio inutile contro chi ragiona per dogmi. Per chi equipara l'aborto all'omicidio a nulla serve considerare che la cosa è quantomeno scientificamente in discussione, e che comunque la legge 194 non agevola ma semmai aiuta a controllare il fenomeno, che se la normativa fosse attuata in pieno, consultori e tutto, unitamente a un'educazione diffusa alla sessualità consapevole (che manca sempre per colpa della mancanza di laicità), sarebbe virtualmente azzerato. A nulla serve, contro chi non ragiona, argomentare con i giudici costituzionali che il diritto dell'embrione non è pari al diritto della persona umana compiuta, o con gli scienziati ancora in disaccordo su quando si possa dire nasca la vita autonoma, o tra credenti e non credenti se sia o meno un dio a possedere la vita o siamo noi stessi, o con gli psicologi se mai una donna potrebbe prendere a cuor leggero una decisione così drammatica. E pertanto lasciare alla donna stessa il diritto di decidere, nel quadro di una legislazione illuminata ed efficace che la aiuti e la accompagni, è l'unica soluzione degna di questo nome.
Forse l'unica soluzione contro chi ragiona per dogmi è rivoltargli contro la sua stessa mentalità. Per secoli le migliori menti dell'occidente, imbrigliate dentro la ragnatela della fede, hanno partorito teorie su teorie che poi la Chiesa ufficiale con fatica sfrondava bollandole come eresie e mandando al rogo chi le aveva ideate. Sul libero arbitrio più di ogni altro argomento, eccezion fatta forse per la verginità di Maria e la sua immacolata concezione (questione "risolta" nell'ottocento, e riguarda la sua nascita non quella di suo figlio Gesù), o il rapporto tra Dio e Satana e l'esistenza fisica stessa del Diavolo (questione "risolta" da Paolo VI, quindi molto  più recentemente di quanto si creda). Provateci: al vostro interlocutore sedicente credente gli si incroceranno i neuroni, e si rifugerà nel catechismo. Se resiste, portatevi appresso questa frase del compianto Giancarlo Fornari, che racconta un'antica eresia: a chiunque abbia abbastanza esperienza del mondo e delle sofferenze della vita, non può che sembrare vera, e un orizzonte senza dio magari comincerà a fargli un po' meno paura...
Quello che ci hanno sempre raccontato circa la lotta tra il Bene e il Male, tra Dio e Satana, angeli e demoni, è vero, ma non è vero il finale. Chi ha vinto non è il Dio buono ma quello malvagio. Al potere non ci sono gli angeli ma i Demoni, altrimenti il mondo non sarebbe tanto malvagio e l'umanità tanto crudele, i disastri tanto frequenti. E nell'inferno è relegato il Dio buono con i suoi angeli, che lotta per liberarsi e un giorno, forse, riuscirà a riprendere il dominio del mondo. Prima che sia troppo tardi, e che l'umanità spronata dal dio malvagio (e dai suoi sacerdoti in terra) riesca a distruggerlo.
Geniale. E' tutto vero, ma ha vinto Satana. Pensateci bene, ripassatevi la storia dell'umanità, e guardatevi attorno: se esiste un dio, dev'essere per forza andata così.

domenica 24 maggio 2020

FERRIERE E MINIERE DI CALABRIA ULTERIORE - II

Mongiana è così piccola che per vederla comparire su Maps bisogna zoomare un
bel po'. Ma il segnalibro delle Reali ferriere ed officine è ancora lì, a testimoniare
di un passato glorioso che avrebbe potuto portare a una storia diversa e quindi ad
un presente diverso per il nostro Sud. Qualcuno potrebbe dire che è rivangare non
è che un inutile esercizio, visto che oramai siamo tutti italiani. Ma senza i crimini
commessi tutta la storia italiana sarebbe stata diversa, e tenerlo presente potrebbe
servire ad esempio adesso a fermare i crimini europei nei confronti dell'Italia, che
sono peggio di un'annessione perché ne provocano i danni senza pagarne i costi, e
quel che è peggio sono commessi con la collaborazione attiva di troppi italiani...
Come promesso, ricevo e volentieri pubblico il seguito di un post anche piuttosto letto, per gli standard di questo blog; spero che sia per l'argomento: vorrebbe dire che l'afflato di autentico meridionalismo, che condivido con l'autore, è ancora vivo tra i conterronei. Sarebbe raccomandabile, anche per chi l'avesse già letta, cominciare dalla prima parte: la storia, che Pasbas ha scelto in quanto paradigma di quella che fu una guerra di annessione e fu raccontata (e ancora oggi lo è) come mito fondativo dell'Italia unita, è quella di un puntino sulle cartine geografiche praticamente al confine tra le province di Vibo, Reggio e Catanzaro, un paesino oggi minuscolo nato e fiorito proprio come centro residenziale per gli operai delle fabbriche di cui raccontiamo. Spesso però è dal piccolo che si capisce meglio il grande.
Una ultima considerazione prima di lasciarvi alla lettura. Pasquale chiude l'excursus storico (ma non andate subito a guardare, vi rovinate l'effetto) con un espediente retorico efficacissimo, che a me fa trarre due conclusioni che funzionano bene anche come premesse: (1) qui nessuno vuole santificare i Borboni, ma solo proporre una visione della Storia meno ideologica di quella di cui ci hanno imbevuti fin dalle scuole elementari; e (2) forse alla fin fine è solo l'esercizio pedante e instancabile del Dubbio che ci può salvare, magari anche in una cronaca gestita da una macchina propagandistica superefficiente.

Ferriere di Mongiana Parte 2

di Pasbas

Eccomi di nuovo a parlare dell’autentico e preunitario “Polo Metallurgico Calabrese”, che niente ha a che fare con la bufala statale post-unitaria del famoso e famigerato Centro Siderurgico di Gioia Tauro.
1820
Il direttore di Mongiana, Landi, trasferitosi agli opifici di Torre Annunziata (già esiste la “job rotation” tra poli industriali remotamente dislocati!), viene sostituito dal T. Col. Mori. In continuità assoluta col suo predecessore, Mori dà nuovo impulso alla siderurgia facendo sfornare a Mongiana latta ed acciai speciali.
In quel periodo scoppia la rivolta siciliana che mette a dura prova la solidità del Regno, ma che non compromette minimamente lo sviluppo del Polo Siderurgico Calabrese.
22/7/1820
Con la Costituzione, Ferdinando I, con grande lungimiranza, suddivide la Calabria in 3 regioni: Calabria Citeriore (Cosenza),Calabria Ulteriore 2 (Catanzaro) e Calabria Ulteriore 1 (Reggio Calabria)
1821
Gli austriaci invadono il Regno e aboliscono la Costituzione, dando inizio ad una spietata caccia al democratico.
1823-26
La comprovata stabilità del polo mongianese porta ad una grande opera di rimboschimento nazionale delle faggete serrane, depauperate dalla necessità di fornire carburante ligneo agli altiforni. Una legge forestale fa delle faggete di Stilo una proprietà demaniale, istituendo un Corpo Forestale di sorveglianza, di stanza a Mongiana. I boschi serrani di Stilo, grazie a questi lungimiranti provvedimenti, tornano a godere di buona salute.
Ma non finisce qui, infatti il motivato Ritucci inizia i lavori per la costruzione dell’incredibile e ancora oggi bellissimo sito di Ferdinandea (così chiamato in onore del Re Ferdinando II, suo promotore e finanziatore).
Nello stesso periodo prende forma anche l’imprenditoria industriale privata: nelle serre del versante ionico il Principe di Satriano crea il più grande complesso siderurgico privato del Regno. A Capodimonte, intanto, la nuova industria privata metalmeccanica Henry & Zino produce pezzi di ricambio per le macchine da tessitura a vapore. Ha così inizio nel Regno la coesistenza di un sistema nazionale metallurgico statale e di uno completamente privato (altro che la "arretratezza, incultura, povertà di idee e mezzi" riferita dagli invasori piemontesi, e poi passata alla storia!).
1833
L’organizzazione del polo di Mongiana è molto complessa e articolata e viene gestita dalla Direzione Generale, che sovraintende alle attività e coordina le altre Direzioni:
  • Direzione del Dettaglio, presieduta da un esperto economo;
  • Direzione Lavori, presieduta da un esperto chimico;
  • Direzione della Fabbrica d’Armi, con a capo un perito;
  • Direzione delle Miniere, con a capo un geologo-mineralogista.
Questa complessa struttura ha il compito di gestire impianti e infrastrutture distribuite su di un vasto territorio montano, boschivo ed impervio.
1839
Il capitano D’Agostino e il fonditore Pansera partono da Napoli per le zone minerarie francesi, arrivando ad esaminare e studiare gli opifici compresa la grande fonderia militare di Newers. Un evento questo di vero e proprio spionaggio industriale di stampo moderno.
Nel luglio il polo minerario-siderurgico conta ben 742 lavoratori divisi tra: staffatori, fonditori, minatori, garzoni, carbonieri, mulattieri, bovari, impiegati di vario genere, militari, un chirurgo e un cappellano. Una tale capacità industriale e organizzativa consente alle Reali Ferriere di vincere l’appalto nazionale per il ponte in ferro “Cristina sul Calore”, per manifesta superiorità rispetto ai concorrenti.
Qui si potrebbe uscire un attimo di tema, e ricordare come sono andati gli appalti pubblici lungo tutta la storia dell'Italia unitaria, e vanno ancora adesso, ma lo sapete già tutti e sarebbe pleonastico.
1840
Nasce, nell'ambito dei continui aggiornamenti tecnologici e organizzativi, l'inedita figura dell'ingegnere costruttore. Il primo a ricoprirne la carica fu singolarmente un civile, Domenico Fortunato Savino, grande e visionario genio della progettazione a largo spettro, manutentore e riciclatore fantasioso, uomo dalle mille risorse. Tra i suoi compiti quello di progettare il Piano Regolatore dell'intero Polo serrano: rifare completamente le fonderie, ristrutturare la caserma e le varie officine, progettare il complesso delle opere infrastrutturali necessarie quali strade, ponti, canali e persino un cimitero.
1846
Il Savino introduce nel processo industriale i più moderni sistemi di affinazione, installa un laminatoio inglese allo stato dell’arte e non ultimo rende il Polo completamente autosufficiente quanto a utensili, parti di ricambio e quant'altro necessario alle varie attività lavorative.
1848-49
I moti di indipendenza dei siciliani, che chiedono il distacco della Sicilia dal Regno dei Borbone, vengono repressi spietatamente nel sangue dai Borbone, avendo come drammatico epilogo la distruzione sistematica e totale della città di Messina, ultimo baluardo di resistenza dei siciliani indipendentisti.
Ma, a proposito di stabilità delle imprese pubbliche del Regno, il Polo Siderurgico Calabrese continua la produzione senza interruzioni di sorta. Ancor di più: quando dei ribelli calabresi attaccano a sorpresa Mongiana, a parte le poche armi e due cannoni sottratti ai militari di stanza nel sito, non trovano nulla di utilizzabile per le loro azioni future; inoltre le maestranze si mostrano assolutamente indifferenti alle loro incitazioni alla ribellione. Il Savini, di tendenze liberali, viene rimosso dal suo incarico ma presto reintegrato su pressante richiesta della direzione e delle maestranze. Se non è stabilità operativa questa! Si pensi invece a cosa accade ai giorni nostri al Paese dopo un semplice rimpasto governativo...
Uno sguardo ai numeri, che dimostrano le considerevoli dimensioni di alcuni dei fabbricati presenti nel Polo Calabrese: le Officine sono locate in uno solo stabile lungo circa 2 km; nelle ferriere ci sono inoltre 3 grandi altiforni; la fabbrica d’armi è ospitata in un grande edificio di 3 piani.
Tornando al tema della valorizzazione dell’elemento umano, il Regolamento delle ferriere è per l’epoca molto avanzato in termini di garanzia e rispetto dei lavoratori. E’ un misto di elementi burocratici tipici del Regno e di una serie di norme di forte coinvolgimento degli operai nella direzione della fabbrica (i grandi industriali protagonisti della ripresa economica degli USA nel dopo ’29, quali Ford e altri, applicheranno questi concetti quasi un secolo più tardi!). Ad esempio, per dire di quanto l’organizzazione sia efficiente e rispettosa delle maestranze, la giornata lavorativa è di 8 ore (avete capito bene, 8 ore, nel 1848!), e anche di durata inferiore nel caso di lavorazioni particolarmente logoranti: a quel tempo l’orario medio di lavoro nel Regno è di 10/11 ore, mentre in Inghilterra gli operai lavorano 16 ore e il lavoro minorile è molto diffuso. Inoltre, esiste già una Cassa Previdenza per gli infortuni sul lavoro, che peraltro sono in numero molto più basso delle corrispondenti industrie europee. Anche la mortalità sul lavoro vede cifre significativamente più basse di quelle relative alle nazioni più industrializzate, frutto di una più che buona organizzazione gerarchica delle squadre di lavoro congiunta alla grande importanza data alle maestranze viste come veri uomini con veri diritti, invece che come “asset aziendali”.
Caratteristiche essenziali del Regolamento, elementi apparentemente contraddittori (che però in effetti non lo sono, visto i luoghi e l’epoca di riferimento, gli anni 40 del XIX secolo) tra quelli più specificamente militari, relativi alla grande importanza strategica del Polo, e quelli relativi alla valorizzazione in termini sia umani che produttivi:
  • come detto, la giornata lavorativa è in media di 8 ore contro una media nel Regno di 11/12 ore;
  • per il lavoro minorile gli orari sono ridottissimi e i compiti sono di tipo gregario-apprendistico:
  • manca totalmente lo sfruttamento delle donne;
  • grazie alla politica di welfare la popolazione residente gode di buone condizioni di salute, e inoltre c’è assenza totale di alcolismo;
  • sono presenti in sede un chirurgo (poco impegnato grazie ai pochi infortuni dovuti alla buona organizzazione del lavoro), e un farmacista con compiti anche di medico;
  • infine, anche se non è tutto, Mongiana (come già per il Polo Tessile di S. Leucio) è dotata di 2 classi di scuola primaria con tanto di insegnanti per un totale (per i tempi, una vera e propria chicca culturale) di nove materie insegnate: lettura e scrittura, aritmetica, religione, grammatica italiana, dettato, disegno lineare, agricoltura, arti e (per ultimo ma non per importanza) galateo!
1860
Fine del Polo Siderurgico.
Arrivano i garibaldini (autoproclamatisi liberatori col supporto di inglesi, massoni, piemontesi e francesi) e cambiano come primo atto il nome degli altiforni di Ferdinandea da S. Francesco e S. Ferdinando ai più laici (o dovremmo dire laidi) Garibaldi e Cavour. Ecco i "miglioramenti" immediati che avvengono nel Polo: viene immediatamente chiusa Ferdinandea, e nella Ferriera “liberata” di Mongiana non si pagano più gli operai provocando sommosse tra le maestranze e i cittadini. Si sollevano infatti i mulattieri al grido di “W Francesco II”, e si creano bande di militari che non si arrendono ai piemontesi.
21/10/1860
Al plebiscito la vittoria del “NO” è schiacciante, soprattutto considerando che si vota per censo, quindi non votano operai e cittadini comuni. La reazione rabbiosa dei piemontesi è subitanea e implacabile: chiusura totale degli stabilimenti, che presto verranno completamente abbandonati. 
dicembre 1860
Nasce una sommossa popolare a Mongiana, la guarnigione viene colta di sorpresa e i militari disarmati facilmente; i cittadini, con a capo le donne della cittadinanza, al grido di "W Don Ciccio" calpestano il tricolore.
1862
All'esposizione internazionale di Londra, le armi prodotte dal Polo Calabrese vengono premiate per l’alta qualità raggiunta nella loro produzione.
1863
Lo stato unitario inizia a succhiare il sangue della popolazione dell'ex-Regno, aumentando la tassazione diretta del 40%. Inoltre gli ordini commissionati alle industrie siderurgiche del sud ammontano al 5-7% degli ordini nazionali, provocando di fatto la morte del Polo Calabrese e di tutto l’indotto che gira intorno ad esso. La giustificazione ufficiale è che le maestranze, completamente senza istruzione, rozze e incapaci, non possono che sfornare prodotti di bassa qualità. I cantieri navali di Castellammare di Stabia nel frattempo costruiscono la pirofregata Messina ed impiegano per ultimarla il 25% in meno del tempo impiegato dal cantiere S. Rocco di Livorno per varare la gemella Conte Verde.
Non essendo ancora completata l’opera di demolizione del grande Polo siderurgico calabrese, Mongiana viene premiata alla esposizione industriale di Firenze con medaglia e diploma.
Pietrarsa, il famoso polo di produzione di materiale rotabile, è testimone di un ignobile fatto di sangue: gli operai scendono spontaneamente in sciopero, che viene brutalmente sedato dagli "eroici" bersaglieri che si confrontano a colpi di fucile e di baionetta con maestranze disarmate. Sì proprio quei bersaglieri che fucilano e fucileranno, senza alcun processo, migliaia dei cosiddetti briganti, nel contempo macchiandosi di ignobili stragi di civili, con completa distruzione di interi paesi del Sud accusati di fiancheggiamento.
23/6/1873
Mongiana ed il suo Polo, con legge n. 1435 emessa dal governo Lanza (quante piazze e strade a lui intitolate!) e ratificata dal parlamento sabaudo, vengono venduti ai privati (e più precisamente a un ufficiale garibaldino).
Questa legge segna la fine definitiva del grande Polo Siderurgico Calabrese.
               
Appendice.
Nell'assedio di Messina, che ricordavo all'inizio del paragrafo dedicato al 1848/49, le truppe borboniche ammontavano a quasi 25000 uomini ben armati ed addestrati, compresi i feroci mercenari svizzeri, mentre quelle degli assediati a in tutto 6000. Inoltre le batterie dell’artiglieria borbonica contavano 450 cannoni contro i 112 degli insorti, ma la città eroicamente sopportò nove mesi di terribili bombardamenti, che la distrussero radendola completamente al suolo e procurando un tale numero di morti e feriti (in gran parte civili) che neanche lo stato maggiore napoletano, con in testa il generale Filangeri, fu in grado di calcolarli. Ecco le parole di un ufficiale borbonico che partecipò in prima linea all'infame eccidio dei fratelli messinesi: "I feriti ... immensi, morti non so numerartene, sia da noi che da loro"; e ancora "... ho inorridito nel vedere la bellissima Messina ridotta tutta uno sfabbricinio...".
Perché non ve l'ho detto prima e invece ve lo dico adesso? Per mostrarvi come chi scrive la Storia, omettendo volutamente uno o più importanti eventi o anche solo dettagli, non fa che semplicemente usare una tecnica per portare il lettore sulle proprie tesi. E se questo fosse realmente il metodo usato da molti degli scrittori storici più famosi e autorevoli? A chi credere? A questa domanda autogenerata non so in alcun modo rispondere.

giovedì 14 ottobre 2010

UNO SU MILLE?

Come in uno dei tanti giri di mail, ho sottoscritto un appello online e invito tutti a fare altrettanto, QUI. Lo so che la speranza di impatto concreto di queste cose è minima, ma quello che conta in chi come noi, blogger e lettori di controinformazione (e la "e" è associativa degli attributi più che elencativa), cerca di realizzare le potenzialità informative della Rete facendo circolare viralmente concetti, idee, notizie e tesi che non passano per l'informazione ufficiale, è conoscere e condividere i contenuti dell'appello.
L'argomento è la cosiddetta missione di pace in Afghanistan, di strettissima attualità viste le quattro recentissime vittime ("di un vile attacco dei talebani" recitava Mazzocchi mentre nel prepartita di Italia/Serbia si osservava il classico minuto di raccoglimento, tutti tranne i nazionalisti serbi che esponevano espliciti striscioni in italiano a ricordarci che loro ricordavano benissimo i bombardieri di chi avevano fatto forse migliaia di vittime innocenti a Belgrado un decennio fa - governo D'Alema, maledizione!) che portano il bilancio dei caduti italiani su quel fronte a 34 unità. Il rispetto di ogni vita umana è dovuto, siamo daccordo, e infatti tutti volentieri ci uniamo al cordoglio delle famiglie per questi ragazzi che tentano solo di sbarcare il lunario - pagare un mutuo o anche solo tenersi stretto l'ormai introvabile posto fisso - credendo forse di andare davvero a dare un aiuto a qualcuno. Almeno, all'inizio: pare infatti che i commenti su Facebook dei militari stessi tradiscano spesso tutt'altra consapevolezza... Ma se ogni vita vale uno, perchè non moltiplichiamo per mille il nostro cordoglio quando pensiamo alle vittime afgane di questa guerra senza senso, visto che almeno di tale ordine di grandezza è la sproporzione?
Il Ministro della Difesa non ha perso l'occasione per tirare il sasso e nascondere la mano, sostenendo di essere disponibile a rivedere la propria decisione di non dotare di bombe i nostri aerei se il Parlamento glielo chiede, e Fassino dal canto suo non ha perso l'occasione per dimostrare che finchè una provvidenziale epidemia selettiva non ci porta via tutta la nostra classe dirigente noi anime di sinistra non abbiamo più speranze, mostrandosi equivocamente disponibile all'ipotesi anzichè - come avrebbe dovuto - mandare affanculo in diretta TV La Russa, recuperando tra l'altro così in un attimo a occhio e croce un 5% di consensi.
Al telespettatore era evidente tutta la differenza di statura politica dei due, inversa a quella fisica. E sto parlando di La Russa, non di Churchill. Di più: spero proprio che la sua proposta venga discussa e approvata, così finalmente qualcuno potrà, volendo, un giorno, incriminare tutti i votanti per attentato alla Costituzione: è vero che gli estremi ci sarebbero già stati almeno un paio di volte (con la Serbia la più eclatante), ma non si sa mai. Certo è che più bombe si sganciano meno è facile sostenere che non si tratti di missione di guerra, in violazione dell'articolo 11 della Costituzione. Che è bene ripetere a ogni occasione recita che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali"; è vero che subito dopo aggiunge che "consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo", ma è appunto l'interpretazione stiracchiata di questa seconda parte che regge sempre meno col procedere e l'escalation del conflitto.
Giova a tal fine ricordare in breve (chi ha più tempo si legga qui Massimo Fini) cosa è successo e succede in Afghanistan:
  • i talebani erano il tentativo degli afghani di uscire da due decenni di morte e distruzioni infiltte sia dagli invasori sovietici che dai cosiddetti "signori della guerra" che gli americani hanno finanziato armato addestrato in funzione anti-URSS;
  • la condizione delle donne afghane, che cominciò ad essere oggetto dell'attenzione maniacale dei media occidentali ben prima dell'11 settembre, non era peggiore che in tanti altri Paesi musulmani (ad esempio il Kuwait o l'Arabia Saudita), e comunque non è che noi italiani abbiamo tutto questo titolo a pontificare sull'argomento;
  • l'attentato alle torri gemelle, ammesso e non concesso che la versione ufficiale sia vera, non fu compiuto da afghani, tuttavia pochi giorni dopo Bush dichiarò che Bin Laden si nascondeva in Afghanistan e ne ordinò la consegna pena l'aggressione militare;
  • gli Usa possono - e spesso e volentieri usano -  risolvere le controversie internazionali militarmente, noi no: per questo siamo intervenuti solo dopo i bombardamenti a tappeto e l'invasione militare, per poter dire - con molta faccia di tolla bipartisan - che la nostra fosse una missione di pace;
  • i talebani avevano bloccato la produzione di oppio e si opponevano al transito di un oleodotto, quello che è successo dopo dimostra che erano queste le vere ragioni per cui bisognava attaccarli;
  • oggi, i talebani controllano nuovamente i 2/3 del territorio e hanno l'appoggio della popolazione, donne comprese che sono forse più contente di portare un velo che di morire o veder morire sotto le bombe i loro figli, o comunque non è certo uccidendo loro e i loro cari che le emancipiamo.
Gli argomenti non sono esauriti, ma quelli esposti bastano per delineare un contesto in cui i nostri sono i morti di un esercito invasore, i loro - mille volte tanto numerosi - i morti di un Paese invaso: ascolto e condivido il cordoglio per i nostri soldati solo quando è espresso da persone che tengono ben presente questa realtà, degli altri penso che siano ipocriti opportunisti o ingenui.
Ritiro immediato ed incondizionato con munifica riparazione dei danni di guerra. Ogni altra soluzione di uscita dall'Aghanistan (e dall'Iraq) per gli USA e i loro complici tra cui l'Italia è inaccettabile e giustifica la rabbia di quei popoli e la selezione al loro interno delle persone più capaci di incanalarla. Un po' come quel tipaccio che mostrava i muscoli e i tatuaggi in diretta TV l'altra sera: senza l'attacco concentrico alla Serbia perpetrato per tutti gli anni 90 e culminato con i bombardamenti Nato, credete che avrebbe fatto strada tra i suoi compatrioti? Sono cent'anni di politica coloniale e postcoloniale dell'Occidente, siamo noi, ad avere consegnato il medio oriente ai fondamentalisti, noi che appoggiamo gli Stati a base confessionale quando ci fa comodo e li stigmatizziamo in caso contrario: ricordiamocelo, prima di parlare di terrorismo e integralismo islamico.

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